Maria
seguiva con la massima attenzione l’inchiesta che Camilla Cederna
pubblicava passo dopo passo su L’Espresso. Si vede dagli appunti
che ha preso su questo quaderno1.
Così come, giorno dopo giorno, la battaglia portata avanti da Lotta
Continua sul giornale per far luce sull’assassino di Pinelli.
Battaglia che iniziò il giorno stesso del suo funerale. Lo dimostra
la raccolta che conservava gelosamente e che sono stati riposti nella
soffitta della casa di Ventotene dopo la sua morte. Ho trovato il
numero del 20 dicembre 1969. In prima pagina c’è la foto del
cortile della Questura con una freccia bianca che indica la finestra
da dove è caduto Pinelli. È quella del commissario di polizia,
Luigi Calabresi, che nella Questura di Milano si occupava appunto di
anarchici e che aveva condotto l’interrogatorio del ferroviere. In
terza pagina c’è una foto di gruppo dei dirigenti della questura.
Calabresi è l’ultimo a destra, l’unico senza cravatta, ma non
compare il suo nome. Solo sul giornale del 7 marzo1970, Lotta
Continua, fece il suo nome, peraltro sbagliandolo: «è il dott.
Calabrese».
Da
quel numero il giornale iniziò una dura campagna contro di lui. Con
vignette che, ad esempio, lo ritraggono in fasce mentre scaraventa
fuori dal box orsacchiotti di peluche, oppure vestito da scolaro che
butta di sotto i compagni di classe, o ancora vestito da cameriere
davanti a una finestra che dice a Pinelli: o ti mangi questa
minestra…. Ma soprattutto con articoli nei quali si legge:
«Calabresi,
sei tu l’accusato. […] Le nostre armi sono altre, più difficili,
faticose, pericolose, ma infinitamente più efficaci. È
l’organizzazione della forza e dell’autonomia del proletariato
che farà giustizia di tutti i suoi nemici. Dell’assassinio di
Pinelli abbiamo detto a chiare lettere che il proletariato sa chi
sono i responsabili e saprà fare vendetta della sua morte»
(14-5-1970).
«Questo
marine dalla finestra facile dovrà rispondere di tutto. Gli siamo
alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo
inferocito. […] Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi
per falso in atto pubblico. Noi, più modestamente, di questi nemici
del popolo vogliamo la morte» (6-6-1970).
Mentre
leggo mi rendo conto che questo tipo di articoli oggi non sarebbero
mai usciti e che forse nessun giornalista avrebbe mai avuto il
coraggio di pubblicarli.
«Siamo
stati troppo teneri con il commissario di pubblica sicurezza Luigi
Calabresi. Egli si permette di continuare a vivere tranquillamente.
[…] Il suo volto è diventato abituale e conosciuto per i militanti
che hanno imparato a odiarlo; la sua funzione di sicario è stata
denunciata alle masse che hanno incominciato a conoscere i propri
nemici di persona, con nome, cognome e indirizzo. È chiaro a tutti,
infatti, che sarà Calabresi a dover rispondere pubblicamente del suo
delitto contro il proletariato. E il proletariato ha già emesso la
sua sentenza: Calabresi è responsabile dell’assassinio di Pinelli
e Calabresi dovrà pagarla cara. […] Il terreno, la sede, gli
strumenti della giustizia borghese sono del tutto estranei alle
nostre esperienze, alle nostre lotte, alle nostre idee, e non è
certamente dalla legge dello Stato capitalista che ci attendiamo la
punizione di un suo servo zelante; non dai giudici “progressisti e
onesti”; non da un dibattimento i cui codici, norme e regole,
creati dalla borghesia per controllare gli sfruttati, non possono
essere utilizzati dai proletari, ma solo da questi distrutti. […]
Ma dentro il tribunale, nelle strade e nelle piazze, il proletariato
emetterà il suo verdetto, lo comunicherà e ancora là, nelle piazze
e nelle strade, lo renderà esecutivo. Calabresi ha paura ed esistono
validi motivi perché ne abbia sempre di più. […] L’imputato e
vittima del secondo [processo] è già da tempo designato: un
commissario aggiunto di ps, torturatore e assassino: Luigi Calabresi.
Sappiamo che l’eliminazione di un poliziotto non libererà gli
sfruttati; ma è questo, sicuramente, un momento e una tappa
fondamentale dell’assalto del proletariato contro lo Stato
assassino» (6-6-1970). «Calabresi, assassino, stia attento. Il suo
nome è uno dei primi della lista» (6-5-1971).
Tutte
frasi che mia madre ha puntualmente annotato nel suo diario. Senza
alcun commento. Come se avesse voluto fissarle nella testa. Non so se
le condivideva o meno. Certo è che anche lei era convinta che
Pinelli fosse stato ucciso.
Sono
passati 3 mesi dalla morte di Pinelli e sono riusciti a dare tre
versioni contrastanti della sua fine. Ho parlato con alcuni anarchici
di Milano. Tutti accusano la polizia di assassinio e i fascisti e lo
stato di essere gli autori delle stragi. Anche io non ho dubbi. Si è
scoperto che a mezzanotte meno due secondi (2 minuti e 2 secondi
prima della caduta di Pinelli) venne chiamata l’autoambulanza. La
stanza dell’interrogatorio larga 3,56 metri x 4,40 e contenenti
vari armadi e scrivania e la presenza di 6 persone rende impossibile
uno scatto di Pinelli verso la finestra. E poi non è strano che la
finestra fosse aperta trattandosi di dicembre e di notte? Pinelli
cade scivolando lungo i cornicioni. Non si è dato quindi nessuno
slancio. Cade senza un grido e senza portare le mani a protezione
della testa, come se fosse già inanimato. Ma perché continuano a
raccontare tutte queste bugie? E comunque le guardie avevano il
dovere di salvaguardare la vita di Pino. Si trattava di un cittadino
affidato alla loro custodia e soprattutto, secondo loro, di una
preziosa fonte. Almeno di questo dovranno rispondere. E poi, perché
lo trattennero per tre giorni quando lo stesso Calabresi ha ammesso
in una intervista su l’Unità che contro Pinelli non avevano nulla?
Un funzionario della Polizia, la mattina del 15 dicembre, aveva detto
alla madre che non era collegato alla strage, ma che comunque c’erano
state pressioni da Roma per il suo fermo. E che cosa c’era di tanto
interessante nel libretto chilometrico di Pinelli, ovvero il
tesserino in cui segnava i suoi viaggi, che fu mandato a prendere a
casa del ferroviere alle undici di sera del 15 dicembre? 19 marzo
1970
Non
mi ero mai interessata più di tanto a questa storia. La conosco
certo, ma sapere come l’hai vissuta mia madre è un tassello che mi
sembra fondamentale per sapere veramente chi era lei. Qualche pagina
più avanti trovo scritto:
Il
commissario Calabresi ha querelato Pio Baldelli, direttore
responsabile del settimanale Lotta Continua per diffamazione
continuata e aggravata circa la defenestrazione di Pinelli. Oggi
Calabresi ha deposto in tribunale mentre la gente urlava assassino,
buffone, buttati dalla finestra. Il vicequestore Vittoria ha
autorizzato una carica nei corridoi di Palazzo di giustizia. I
compagni hanno organizzato un sit in al primo piano. 14 ottobre 1971.
Anche
se risulta che il vicecommissario non fosse nel suo ufficio nel
momento del volo di Pinelli, per Lotta Continua, credo che anche per
mia madre quello di Calabresi è «il
primo volto dei burattinai della strategia della tensione a cui sia
stata strappata la maschera»2.
Mi
hanno detto che Pinelli con involontaria vena profetica, predispose
che, alla sua morte, venissero incisi sulla lapide i versi di una
stupenda poesia tratta da Spoon River di Edgar Lee Masters, che parla
dell’uccisione l’11 dicembre 1887, dei cinque anarchici anarchici
ingiustamente accusati dell’eccidio di Haymarket Square (a Chicago)
il 4 maggio 1886. Il 3 maggio, di fronte alla fabbrica di mietitrici
McCormick, la polizia sparò sugli scioperanti uccidendone due e
ferendone molti. Fu quindi indetta una manifestazione ad Haymarket
Square il giorno dopo. Tutto sembrava più che tranquillo, quando la
polizia intimò di sgombrare e iniziò a marciare a ranghi serrati
per attuare l’ordine. Partì un ordigno che uccise 11 persone più
un poliziotto; altri sette, rimasti feriti, morirono nei giorni
successivi. Da qui l’indegno e puramente persecutorio processo agli
organizzatori della manifestazione. La poesia scelta va dedicata a
Pinelli e a tutti quelli che combattono i potenti, gli oppressori, i
“grandi personaggi” (politici, militari, della stampa e dello
spettacolo, finanzieri, ecc..). Questi versi non possono non
commuovere chi resta al di qua della linea di demarcazione tra senso
di umanità e il più sconfinato e arido deserto dei sentimenti.
giugno 1970
Epitaffio
di Carl Hamblin
La
macchina del “Clarion” di Spoon River venne distrutta,
e
io incatramato e impiumato,
per
aver pubblicato questo, il giorno che gli anarchici furono impiccati
a Chicago:
“Io
vidi una donna bellissima, con gli occhi bendati
ritta
sui gradini di un tempio marmoreo.
Una
gran folla le passava dinanzi,
alzando
al suo volto il volto implorante.
Nella
sinistra impugnava una spada.
Brandiva
questa spada,
colpendo
ora un bimbo, ora un operaio,
ora
una donna che tentava ritrarsi, ora un folle.
Nella
destra teneva una bilancia;
nella
bilancia venivano gettate monete d’oro
da
coloro che schivavano i colpi di spada.
Un
uomo in toga nera lesse da un manoscritto:
‘Non
guarda in faccia a nessuno’.
Poi
un giovane col berretto rosso
balzò
al suo fianco e le strappò la benda.
Ed
ecco, le ciglia eran tutte corrose
sulle
palpebre marce;
le
pupille bruciate da un muco latteo;
la
follia di un’anima morente
le
era scritta sul volto.
Ma
la folla non vide perché portava la benda”.
L’Antologia
di Spoon
River è
stato uno dei libri della mia infanzia, dell’adolescenza e tutt’ora
quando lo rileggo trovo degli spunti inediti, delle riflessioni
legate all’attualità, agli stati d’animo che provo in quel
preciso momento. È una raccolta di poesie che l’americano Edgar Lee Masters pubblicò tra il 1914 e il 1915 sul “Mirror” di St. Louis.
Ogni poesia racconta, in forma di epitaffio, la vita di una delle persone sepolte nel cimitero di un piccolo paesino della provincia americana. E mia madre usava quelle poesie per inventare delle storie che io dovevo tradurre in disegni. Da qualche parte deve esserci ancora l’album con scritto in copertina “Sole: illustrazioni all’antologia di Spoon River”. E poi ascoltavamo insieme l’album “Non al denaro non all’amore né al cielo” con le canzoni di Fabrizio De Andrè ispirate agli epitaffi di Frank Drummer, un matto; quello di Judge Selah Lively, un giudice; Wendell P. Bloyd, un blasfemo; Francis Turner, un malato di cuore; Dr. Siegfried Iseman, un medico; Trainor, the druggist, un chimico; Dippold, the optician, un ottico; Fiddler Jones, il suonatore Jones. Mi è venuta voglia di riascoltarlo. Non è stato facile ritrovare l’ellepi in mezzo a tutto il casino che ho accumulato negli anni nella soffitta, ma alla fine ce l’ho fatta. L’ho messo sul vecchio giradischi e la casa si è riempita nuovamente di lei.
Note:
1
Articoli che poi
diedero vita al suo libro Pinelli, una finestra sulla strage.
Un libro nel quale c’è tutta l’opera di depistaggio intorno
alla morte di Pinelli, le macchinazioni del Pm Caizzi e del giudice
Amati per archiviare il caso, le false, incongruenti,
contraddittorie testimonianze del questore Guida, del brigadiere
Panessa, del commissario Calabresi e poi il processo Calabresi-Lc,
la magistratura servile alla ragion di Stato.
2
Il giornale, appoggiato
da quarantaquattro redazioni di riviste politiche e culturali che
sottoscrivono un documento di solidarietà, ha raggiunto così il
suo obiettivo: quello di tornare a parlare di Pinelli dopo che
l’istruttoria sulla sua morte è stata archiviata)
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