Oggi
arriva papà. Non vedo l’ora di fargli leggere quello che mamma ha
scritto su di lui. Ci sono tante cose che devo chiedergli, e tante
cose da farmi raccontare. Il mare è mosso, sbatte contro Santo
Stefano, ma c’è il sole. Spero tanto che l’aliscafo parta
ugualmente da Formia. Ho bisogno di lui, più di quanto glielo abbia
mai detto. Giro e mi rigiro nel letto aspettando che si facciano le
sette.
È
bello mio padre. Curato ed elegante anche con quei vecchi jeans e le
sue inseparabili scarpe inglesi. Dimostra meno di quarant’anni
anche se ha passati già da un po’ la cinquantina. Non c’è quasi
più traccia dei lunghi capelli castani che ha nelle foto insieme a
mamma, ora ha i capelli sono corti, quasi rasati, ma il fascino è lo
stesso. Gli occhi verdi, la pelle liscia, olivastra, profumata.
«Principessa», mi chiama appena sceso dall’aliscafo. Ad
aspettarlo ci siamo tutte e tre: le zie ed io. «Papà», gli dico
abbracciandolo, «sono così felice di vederti». «Ho bisogno di
te», sussurro mentre lo bacio.
«Colazione
da Verde», propone salutando le zie.
«Allora
spiegatemi che cosa è successo», dice seduto davanti al caffè.
«C’è
poco da spiegare», irrompe Moira, «quell’infame di Daniele ha
ritirato fuori la storia dell’incidente di Maria e sta cercando di
convincere Sole che è stato un omicidio premeditato».
«Non
è vero», la interrompo. «Mi ha semplicemente portato i diari che
mamma ha lasciato a casa sua».
«Non
ti pare strano che abbia sentito il bisogno di farlo proprio ora,
dopo trent’anni?», continua zia ignorando completamente tutto
quello che ci siamo detti i giorni scorsi.
«Non
c’è niente di sconvolgente nei diari, niente che possa far pensare
a un incidente provocato», s’intromette zia Carla. «Ci sono
appunti, riflessioni, ma soprattutto tanti articoli di giornali
ritagliati. Nessuna verità inconfessata o inconfessabile».
«Beh,
una c’è», dice Moira. E senza il minimo tatto: «Ti ha tradito
con lui».
«Zia!»,
faccio per rimproverarla. Non capisco perché sia così cattiva.
Papà, mi prende la mano come per rassicurarmi. «Moira, io la amavo
e continuerò a farlo a prescindere da quello che c’è scritto là
dentro. Quello che mi interessa sono le ultime pagine. Ricordo che
stava diventando ossessionata, quasi paranoica, su tutto ciò che
riguardava le Brigate rosse».
«Non
era la sola», la giustifica zia Carla, «te lo ricordi in che modo
vivevamo dopo il sequestro di Aldo Moro?».
«Certo
che me lo ricordo, ma in quel periodo lei non parlava d’altro.
Chiunque capitava a casa nostra veniva sottoposto a un interrogatorio
di terzo grado».
«Come
fai a saperlo? Tu non c’eri mai a casa». Zia Moira continua ad
attaccarlo e non riesco a comprendere perché. Forse ho fatto male a
farlo venire a Ventotene insieme a loro.
«Hai
ragione Moira», ammette papà alzandosi per andare a pagare la
colazione. Approfitto che si è allontanato: «Zia, te lo chiedo per
favore, smettila».
«La
smetto, Sole mio, la smetto. Ma io non ho mai dimenticato quello che
le ha fatto passare. L’hanno massacrata quei due e ora vengono qui
a parlare di amore. Ma và! Se l’avessero amata davvero oggi tua
madre sarebbe qui. Le hanno fatto venire il crepacuore quei due.
Altro che attentato, brigate rosse, Moro».
«Va
bene, zia. Ma sono passati trent’anni e non ha più alcun senso.
Mamma non c’è più. Mi è rimasto solo lui e non voglio perderlo».
«Sei
troppo buona, come lei. Anche tuo marito…»
«Che
è successo a tuo marito?», chiede papà tornando al tavolo. «Sta
bene?».
«Sì,
papà. Tutto a posto. Mi ha mandato una mail sta bene. Se riesce,
torna il mese prossimo». Augusto è un medico chirurgo e sta facendo
uno stage negli Stati Uniti. Ha vinto una borsa di studio e sono
quattro mesi che non lo vedo. Ma se tutto va bene sarà qui quando
nascerà la nostra bambina.
«Un
altro stronzo», borbotta zia Moira, ma facciamo tutti finta di non
aver sentito mentre ci alziamo e ci incamminiamo verso casa.
«Riposati
in un po’ nella mia stanza, papà. Stasera ti preparo il divano
letto. Sarai stanco…».
«Grazie
amore, stanotte non sono riuscito a chiudere occhio», dice dandomi
un bacio. Lo lascio solo e vado a raggiungere le zie indaffarate in
cucina a preparare il pranzo.
Tre
giorni sono passati senza che nessuno abbia tirato in ballo i diari o
ne abbia parlato. Almeno davanti a me. Di questo devo essergliene
grata. Non avevo nessuna voglia di vederli litigare tra loro, né
sentirli rinfacciarsi questa o quella cosa, e neppure di vantarsi del
rapporto che ciascuno aveva con mamma. Per fortuna le zie oggi mi
hanno detto che partono. L’idea è di zia Carla. Pensa che sia
meglio se rimango un po’ da sola con papà. Zia Moira all’inizio
ha sbraitato, ma poi si è convinta che era la cosa giusta.
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