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Capitolo 12

Anna, una giovane madre con un lavoro precario e suo figlio Marco, di otto mesi, domani verranno sfrattati da una casa popolare. A richiedere lo sfratto non è l’Icp, il reale proprietario dell’immobile, ma una suora di clausura e sua sorella che da moltissimi anni non vivono più nell’appartamento. Infatti Ornella Salvioni ha abbandonato l’alloggio dieci anni fa entrando in un convento. La sorella, Marianna Salvioni (dirigente del Comune di Roma), non ci abita più di tempo ed è proprietaria di altri due appartamenti a Roma. Nonostante questo vorrebbe rientrarne in possesso… L’Icp ha provveduto a far decadere il contratto di locazione alla suora non avendo più i requisiti per l’assegnazione a un alloggio popolare. Incredibilmente la signora Salvioni ha ugualmente richiesto lo sfratto e la forza pubblica è pronta ad intervenire. È una vergogna che nella città di Roma siano più di 16.000 le famiglie nella stessa situazione di Anna e vengano permesse speculazioni di questo genere. La casa è un diritto: le case popolari non possono essere un affare! Oggi sono andata a trovarla. È disperata. E non so più che parole usare per rassicurarla. Dobbiamo impedire che buttino fuori di casa lei e il suo bambino. Dobbiamo fare qualcosa. 21 novembre 1972
So perfettamente come andò a finire. Quella donna non mancò mai di mandarci cartoline, torte, maglioni fatti da lei anche dopo la morte di mia madre. Grazie alla sorella, zia Carla che militava nella sezione Lotta Continua a Garbatella riuscirono a farla rimanere in quella casa. Nostro quartiere c’era molto da fare in questo senso. Lei e i compagni si vedevano in uno stanzone nel seminterrato di via Passino. «Leggi», dico a zia indaffarata in cucina a preparare il pranzo. S’infila gli occhiali che porta sempre al collo agganciati a una collanina di perline che le ho fatto io. Legge a bassa voce. Poi se li toglie e racconta.
«C’era sempre un via vai di gente, c’era chi ciclostilava, chi preparava i cortei, c’erano gli studenti, si dovevano organizzare i mercatini rossi, ma soprattutto si agiva a fianco degli operai in sciopero, degli studenti in corteo, dei proletari dei quartieri che si autoriducevano le bollette e gli affitti, delle famiglie occupavano le case. E poi il problema dell’autodifesa, della “rottura della macchina statale” come diceva Lenin. La sede di Lotta continua, allora, non era ancora la sede di Lotta Continua. C’era sulla porta un simbolo fatto con falce e martello e un mappamondo stilizzato fatto a fette da paralleli e meridiani che, nell’intenzione del disegnatore dava subito l’idea di una Internazionale di tipo nuovo»1.
«Per tua madre risolvere il problema di Anna era diventata una questione personale. L’aveva conosciuta per caso, e le si era affezionata subito», s’intromette zia Moira. «Suo figlio aveva più o meno la tua età e non poteva permettere che quella donna disperata finisse di nuovo in mezzo alla strada. Il marito la picchiava e lei era scappata di casa. Aveva paura ed era venuta a chiedere aiuto a via Pompeo Magno. Grazie ad una compagna era venuta a sapere della casa libera a Garbatella. La occupò, ma sapeva che da un giorno all’altra sarebbero venute le guardie a sgomberarla».
Mamma coinvolse zia Carla e lei, insieme ai suoi compagni, riuscì a risolvere il problema di Anna e Marco facendole assegnare la casa. «Picchetti, presidi, manifestazioni sotto la casa dove abitava la Salvioni, striscioni, volantini. Alla fine tutto il quartiere si mobilitò e la dirigente comunale fu costretta a ritirare la denuncia e la signora Anna ottenne l’assegnazione della casa. Ma era una goccia nell’oceano».
A Roma, come ha scritto mamma sul suo diario, in quegli anni si contavano oltre 16.000 famiglie che vivevano nelle baracche e 50.000 in stato di coabitazione, a monte di circa 40.000 appartamenti vuoti. A luglio del 1969 vennero occupati spontaneamente 25 appartamenti al Tufello che poi diventeranno in tutto 130. Sulla base di questa esperienza venne formato il Comitato di Agitazione Borgata (Cab), un organismo di base formato da baraccati, donne, giovani, militanti di base del Pci e del Psiup e cattolici di sinistra. Nell’agosto dello stesso anno il Comitato di Agitazione organizzò due importanti occupazioni: la prima di 220 alloggi al Celio, dietro il Colosseo, di proprietà dell’Icp; la seconda all’Ostiense di 150 appartamenti di proprietà delle Ferrovie dello Stato. L’occupazione del Celio si estese immediatamente ai blocchi di case vicine raggiungendo un totale di 500 alloggi. «L’iniziativa del Cab», spiega zia Carla, «era indicativa, perché venne operato un vero e proprio salto di qualità rispetto alla politica condotta fino a quel momento dai senza casa e dallo stesso Pci. Prima del ‘69 le lotte sul diritto alla casa erano state condotte prevalentemente dalle Consulte popolari, un organismo di base del partito di Berlinguer, che aveva basato la sua iniziativa su un terreno di scontro civile e dimostrativo, prevalentemente con petizioni popolari, delegazioni al Comune, presidi, occupazioni simboliche e forme di agitazione che facessero da preambolo per discussioni e proposte di legge sul terreno parlamentare e legislativo. Il salto qualitativo dell’iniziativa condotta dal Comitato di Agitazione Borgate fu appunto di aver posto con forza il problema della casa attraverso un tipo di lotta non più delegata e dimostrativa. Le occupazioni erano indirizzate inizialmente verso quegli appartamenti di proprietà degli Enti Pubblici che per ragioni speculative preferivano tenere vuoti gli alloggi piuttosto che assegnarli ai baraccati. Anche per colpa dei conflitti con il sindacato del Pci, l’Unia (Unione inquilini e assegnatari), il Cab però ebbe una battuta d’arresto - per poi dissolversi come struttura - nel momento in cui all’interno della propria strategia cominciò ad essere praticata l’occupazione di case di proprietà delle grandi immobiliari e con le occupazioni di case private iniziarono anche gli sgomberi polizieschi».
Le occupazioni del ‘71 furono caratterizzate da una forte presenza dei gruppi della sinistra extraparlamentare, dal Manifesto a Lotta Continua a Potere Operaio. Una presenza che in qualche modo ha giustificato la repressione da parte delle forze dell’ordine. Quando era chiaro invece che si è tentato in tutti i modi di proteggere gli interessi della controparte pubblica e degli stessi costruttori privati che non avevano nessun interesse a far si che il movimento di occupazioni riuscisse ad ottenere qualche piccolo risultato. Soprattutto dopo che a Milano l’occupazione di via Mac Mahon si era dimostrata vincente per i senza casa. Zia Carla dice che di notte bussarono alla casupola del guardiano del cantiere per comunicargli l’esproprio a favore dei proletari. «Subito dopo», hanno raccontato i compagni a zia, «arrivò il quarto stato: uomini, donne, vecchi e bambini. Famiglie sfrattate che sgranavano gli occhi: non si aspettavano case così belle. Aspettavano da un momento all’altro l’arrivo della polizia. Che però non si fece vedere se non al pomeriggio. Gli agenti erano tantissimi e iniziò l’inferno. Le barricate vennero date alle fiamme, le nuvole dei lacrimogeni coprivano l’intera zona. Molti riuscirono a scappare, ma tanti compagni vennero picchiati e arrestati».
Il Comune di Milano, comunque, fu costretto a trovare una casa agli sfrattati. Il 31 ottobre dello stesso anno, giorno dell’entrata in vigore della legge 865 di riforma della casa, l’Unia organizzò a Roma una mastodontica occupazione simbolica di 1.700 alloggi a cui parteciparono circa 10.000 persone. Nonostante fosse dimostrativa l’occupazione venne subito sgomberata dalla polizia. Riconosciuta dal Comune come legittima controparte, l’Unia riuscì a strappare una fantomatica promessa di requisizione di 6.000 appartamenti, da assegnarsi entro la fine dello stesso anno. Gli alloggi promessi non furono mai requisiti, né tanto meno acquisiti dal Comune. Ne furono assegnati solo 150. Alla prova dei risultati la mobilitazione dell’Unia si rivelò una bolla di sapone.
Zia Carla partecipò attivamente all’esperienza del Comitato della Magliana, un quartiere completamente abusivo costruito al disotto del livello del Tevere. Nato come diretta espressione di un movimento radicatosi all’interno del quartiere, il Comitato della Magliana diede vita ad una vasta campagna di mobilitazione e di lotte. Le esperienze più significative erano costituite dall’autoriduzione dei fitti. Cinquecento famiglie erano riuscite a tagliare del 50% il prezzo dell’affitto. Sempre grazie alla mobilitazione del Comitato vennero organizzate e difese numerose occupazioni. Nei momenti di massima aggregazione l’autoriduzione venne portata dal 50 al 75% pari ad un valore di 2.500 lire a vano, secondo lo slogan che tutti i proletari erano tenuti a pagare lo stesso canone. Dopo una serie di sgomberi della polizia, il Comitato organizzò l’occupazione di 650 nuovi alloggi situati nello stesso quartiere. Lo sgombero della polizia non bloccò l’iniziativa del Comitato che diede vita a numerosissime mobilitazioni tendenti a sensibilizzare l’opinione pubblica sugli svariati abusi edilizi condotti dalle immobiliari ai danni del quartiere. A queste si aggiunsero denuncie sulle complicità del Comune che aveva favorito l’abusivismo edilizio e le speculazioni dei costruttori. L’intervento della magistratura dimostrò l’illegalità delle licenze edilizie rilasciate dalle autorità comunali, nonché evidentissimi abusi. La mancanza di impianti idrici, di reti fognarie, il non rispetto dei vincoli imposti dalla legge, insieme ad altre numerosissime inadempienze, portarono all’incriminazione di 132 persone tra professionisti, assessori comunali e dipendenti2.
«Ma il clima di euforia durò poco», dice zia Carla cambiando tono di voce, «Fabrizio Ceruso, venne ucciso con una pallottola in pieno petto perché voleva impedire lo sgombro di quasi 150 famiglie che da circa un anno occupavano le case popolari a San Basilio. Francesco aveva 19 anni. Quel 5 settembre 1974 insieme ai compagni era riuscito a far sospendere gli sfratti. Ma il giorno dopo, mentre gli occupanti riprendevano tutti gli appartamenti, e una loro delegazione andava in pretura e allo IACP, vennero di nuovo tentati gli sgomberi. Questa volta a resistere c'erano centinaia di persone arrivate da tutta la città. C’era pure tua madre».
La giornata è trascorsa in un susseguirsi di tregue accordate dalla polizia a Lotta Continua, che gestisce l’occupazione, per dare spazio a quella che si è poi dimostrata una trattativa-truffa, con l’unico scopo di prendere tempo e snervare il forte schieramento proletario. La delegazione è rientrata a San Basilio con un accordo di sospensione degli sfratti fino a lunedì mattina. Nonostante questo, i poliziotti sono entrati lo stesso nelle case occupate intimidendo le famiglie e compiendo ad atti di vandalismo. Sono ripresi gli scontri. Fabrizio, un militante del Comitato Proletario di Tivoli, è stato ucciso. Lo hanno caricato su un taxi, ma è arrivato all’ospedale già morto. La notizia in poco tempo ha fatto il giro del quartiere e tutti sono scesi in piazza. La rabbia è esplosa in modo violento. I pali dei lampioni sono stati divelti e le strade sono rimaste al buio. Questa volta è la polizia ad essere presa di mira da colpi di arma da fuoco sparati in strada e dalle case. Otto guardie, tra i quali un capitano, sono rimasti feriti, alcuni in modo grave. Ci sono stati scontri fino a tarda notte3.
«Il giorno seguente», continua a raccontare zia, «iniziarono le trattative per le assegnazioni di alloggi alle famiglie d San Basilio e agli occupanti di Casalbruciato e Bagni di Tivoli».
Con il 1974 il movimento riuscì ad occupare circa 3.800 appartamenti. Ma tutte le prime occupazioni vennero sgomberate dalla polizia in modo violento provocando spesso incidenti che si estesero nei quartieri. A Casalbruciato vennero addirittura arrestate 20 donne. A Pietralata venne arrestata una signora che durante lo sgombero aveva minacciato di gettarsi dal quinto piano. Tutte queste occupazioni erano indirizzate verso le costruzioni di proprietà di palazzinari, molti dei quali facevano parte dell’Associazione Costruttori Edili Romani (Acer) che aveva gestito fino a quel momento la speculazione edilizia e la stessa politica urbanistica della città. Altri proprietari erano le imprese immobiliari legate al gruppo Fiat, alla Banca Nazionale del Lavoro e a varie società assicurative. L’estendersi ed il radicarsi delle occupazioni portò ad un irrigidimento dell’Acer, la quale non accontentandosi della forze dell’ordine e della stessa campagna stampa contro il movimento (tra l’altro condotta da tutti i quotidiani), assoldò delle squadre di mazzieri spalleggiate da picchiatori fascisti a difesa degli stabili occupati. La risposta degli occupanti non si fece attendere: dopo numerose provocazioni e duri scontri, venne assaltata con un lancio di sassi la sede dell’Acer. E nonostante le intimidazioni dei costruttori, le occupazioni ripresero in tutta Roma. Ai costruttori non restò allora che attuare una serrata dei cantieri e chiedere l’arresto di occupanti e organizzatori. Il Governo nello stesso periodo istituì un battaglione celere speciale contro le lotte per la casa a Roma. Al Portuense vennero comunque occupati altri 170 appartamenti, 13 alla Garbatella, 98 al Tuscolano, più di 300 al Prenestino e sulla Cassia, 90 a Guidonia. A Montesacro venne occupato l’edificio dell’ex Gil. Ma durò poco. Gli appartamenti vennero sgomberati, insieme ad altri 350 occupati nei dintorni di Roma.
Per fermare gli sgomberi il gruppo legato alle occupazioni di Avanguardia Operaia aveva deciso di attuare un’ultima resistenza occupando 3 chiese. Come nel ’71, anche in quella occasione, l’ondata di agitazioni sul problema della casa era stata organizzata dai gruppi della sinistra extraparlamentare che però non erano mai riusciti a trovare un momento di coordinamento e di iniziativa comune. All’interno degli stessi gruppi esistevano grosse differenze tra chi si serviva delle occupazioni per esercitare un momento di pressione nei confronti della politica del partito comunista, e chi invece praticava le occupazioni come strumento per la risoluzione diretta del problema della casa.
Le occupazioni nei vari quartieri della Capitale erano in pratica rimaste isolate tra di loro, ed uno dei pochi momenti comuni fu costituito da una grande manifestazione in Campidoglio per la liberazione degli occupanti arrestati, che portò in piazza circa 10.000 persone. La posizione del Pci nei confronti del movimento di lotta per la casa contribuì a determinare il fallimento delle occupazioni che vennero definite “avventuriste” e “indiscriminate”, legate più che altro ad una “strategia della disperazione”. 

Note: 
1 Claudio D’Aguanno, cit.
2 Dal sito www.altremappe.org/casa
3 Il giorno 16 di Andrea Scaloni su http://scaloni.it

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