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Capitolo 19

Ciccio ancora non mi ha scritto.
«Papà, chi è Igor?»,  urlo di punto in bianco. Senza aspettare la risposta insisto: «Mamma scrive questo nome sul diario pochi giorni prima di morire. Eppure questo personaggio, se lei si riferisce a Igor Markevitch, spunta fuori nella storia del sequestro dell’onorevole Moro solo nel ‘99?». Papà sta guardando la televisione in cucina.
«Me l’aspettavo questa domanda, Sole. Prima o poi l’avresti fatta. Daniele è riuscito nel suo intento». La sua voce è dura. È  infastidito quando mi raggiunge in camera e mi trova, come al solito a cercare cose su internet. Sullo schermo c’è un’agenzia Ansa del 29 maggio 1999. La legge a bassa voce.
«Allora, papà, chi è per te Igor. Igor Markevitch, intendo? Ma non mi interessa la sua biografia, quella la conosco, me ne ha parlato pure Daniele. Quello che voglio sapere è che rapporto aveva con le Brigate Rosse».
Si vede che non ha nessuna voglia parlare di questo personaggio. Si limita a dire: «Non l’ho mai visto, né ne ho sentito parlare in quei cinquantacinque giorni. Quello che so di lui l’ho appreso dopo. Nel 1999, appunto. Ma io non facevo parte della direzione strategica. Io ero un manovale, prendevo gli ordini ed eseguivo. So che Mario partecipava a delle riunioni, mi sembra vicino a Firenze. Ma di Igor Markevitch con noi, o per lo meno con me, non ne ha mai parlato».
«Va bene, papà. Tu non lo conosci, ma se mamma ha scritto il suo nome sul diario forse è importante. Vuoi aiutarmi a capire?».
«Non credo ci sia niente da capire. Gli hanno detto di indagare su un certo Igor e forse lei l’ha fatto».
«Secondo te quell’Igor del quale si stava occupando mamma è Igor Marketevich?», insisto.
«Che ne so io? Devi chiederlo a chi raccoglieva i suoi segreti», ribatte lui scocciato, come se volesse chiudere lì quella conversazione.
«Che fai il geloso?», sdrammatizzo. Ma non serve a niente.
«No. È solo che non ti posso aiutare. Io non stavo con lei in quel periodo. Te l’ha detto pure Moira. Non so chi le ha suggerito quel nome, né tanto meno chi immaginava chi fosse», risponde, ma ho la sensazione che sappia molto di più di quando dica.
«Vabbè, diamo per scontato che l’Igor di cui parla mamma sia Markevitch. Aiutami a riflettere. Tu mi interrompi se dico cose senza senso», tengo duro, ben consapevole che mio padre si sta arrabbiando. «Credo sia possibile che Markevitch, a un certo punto, sia entrato in contatto con l’organizzazione. Magari su richiesta dell’agente americano Hubert Howard, che era collegato a Gladio e alla sicurezza atlantica e non è difficile immaginare in fibrillazione per le rivelazioni che il presidente stava facendo. Sto andando bene?», gli chiedo. Mi fa segno di andare avanti.
«Avevano uno stretto rapporto Markevitch e Howard, che tra le altre cose era anche suo cognato visto che aveva sposato una cugina di sua moglie. Markevitch era stato, durante la guerra, in contatto con la Resistenza. Howard era l’ufficiale dell’intelligence inglese che per primo entrò a Firenze liberata dall’occupazione nazista e fu proprio lui ad affidare a Markevitch l’incarico di occuparsi dei programmi musicali della radio Firenze libera e del Maggio Fiorentino. Non mi sembra così assurdo pensare che, dopo 34 anni, fossero di nuovo insieme seppur con obiettivi completamente diversi. Nella primavera del 1978, in un’ipotetica divisione dei ruoli, è possibile che Igor agisse sul campo, per così dire, tornando a fare la spoletta tra le parti, magari anche con il cervello politico delle Br, e Howard tenesse il controllo nella cabina di regia di Palazzo Caetani».
Palazzo Caetani. Mentre parlo ad alta voce rifletto. Daniele dice che il giorno in cui morì mia madre ci sarebbe dovuto essere un blitz proprio lì. Ma all’ultimo momento venne intimato un inspiegabile dietro front. Perché? Ma soprattutto perché mamma voleva trovare un canale per arrivare a Igor?  Mentre guardo papà la mia attenzione si concentra sul fatto che Markevitch avesse partecipato alla Resistenza. Quindi era in contatto con i partigiani. Questo deve essere stato per lui un ottimo biglietto da visita se voleva infiltrarsi nelle Brigate rosse. Non sarebbe del tutto insensato pensare che Moretti si sia fatto abbindolare da Markevitch nella veste di agente di Mosca e soprattutto di amico dei partigiani.
«Papà, ti ricordi quando ero piccola che giocavamo alle associazioni di idee?», dico fermando il ragionamento che stavo facendogli. Del resto non mi sembra abbia ascoltato poi molto di quello che ho detto finora. «La parola iniziale è “resistenza”, la parola finale è “moro”». Anche questo gioco se l’era inventato mamma. Lo facevamo spessissimo quando non potevamo muoverci. Tipo durante i viaggi in auto, o quando stavamo al letto, oppure al mare quando se ne stava sdraiata al sole.  Ma con papà era più divertente, perché lui non faceva obiezioni anche quando le mie associazioni d’idee erano molto assurde.
«Resistenza?», chiede papà un po’ spazientito per tutto quel mio parlare.
«Sì, Resistenza. Quella dei partigiani. Markevitch e Howard, c’è scritto su tutti i libri, avevano partecipato alla liberazione di Firenze dai tedeschi. Anche voi vi sentivate un po’ gli eredi dei partigiani. Per associazione di idee Br, Moro. E quindi Igor».
«Non capisco dove vuoi arrivare».
«Aspetta un attimo». Vado in camera da letto a prendere il diario e cerco una pagina alla quale non ho dato nessuna importanza quando l’ho letta per la prima volta. «Ecco, guarda qui», gli dico ritornando in soggiorno.
«Pare che un partigiano gli abbia regalato una pistola. Mi hanno detto di cercare a Ventotene».
Papà continua a starsene in silenzio. Non dice una parola. Io invece voglio raccontargli quello che mi ha detto un vecchio pescatore dell’isola. «L’altro giorno ho torturato Aniello per farmi raccontare dei confinati politici. A proposito della Liberazione gli è venuto in mente di un forestiero, così l’ha definito, di cui parlava il gruppo dei comunisti.  Ho insistito tanto perché si ricordasse il nome, ma non c’è stato nulla da fare. Aniello dice che è un nome difficile. L’unica cosa che sa per certo è che si era stabilito in Toscana negli anni Quaranta e che fece parte dei Comitati di Liberazione.  Forse è lui».
«Hai ragione: potrebbe essere Igor Markevitch», commenta papà. Ma non sembra molto convinto. Piuttosto dà l’impressione che voglia farla finita con questi discorsi. Insomma come se mi volesse dare il contentino.
«Ma cosa sperava di ottenere da lui? Voleva sapere dove tenevano nascosto l’onorevole Moro?».
«Non credo».
«Molto più probabile che volesse sapere cosa stava dicendo il presidente…», azzardo io. 
Si accende una sigaretta. Fa sempre così quando vuole raccogliere i pensieri. «Forse». Poi diventa loquace. «Quando venne diffuso il primo comunicato  e ancor di più il secondo, quello del 25 marzo a distanza di una settimana, tua madre era molto eccitata perché promettevamo di rendere pubblico, di lì a breve, il fatto che era in corso l’interrogatorio di Moro, che intendevamo chiarire le politiche imperialiste e antiproletarie della Dc, individuare con precisione le strutture internazionali e le filiazioni nazionali della controrivoluzione imperialista, svelare il personale politico-economico-militare sulle cui gambe camminava il progetto delle multinazionali e accertare le sue dirette responsabilità».
« È vero!», esclamo entusiasta io. E la conferma arriva da un’altra pagina del diario.
«Oggi, 29 marzo, le br hanno fatto trovare il comunicato numero tre e una lettera di Moro al capo delle guardie, Cossiga. Finalmente sapremo la verità. I brigatisti dicono che “l’interrogatorio prosegue con la completa collaborazione del prigioniero. Le risposte che fornisce chiariscono sempre più le linee controrivoluzionarie che le centrali imperialiste stanno attuando; delineano con chiarezza i contorni e il corpo del “nuovo” regime che, nella ristrutturazione dello Stato Imperialista delle Multinazionali si sta instaurando nel nostro paese e che ha come perno la Democrazia Cristiana. Proprio sul ruolo che le centrali imperialiste hanno assegnato alla DC, sulle strutture e sugli uomini che gestiscono il progetto controrivoluzionario sulla loro interdipendenza e subordinazione agli organismi imperialisti internazionali, sui finanziamenti occulti. Sui piani economici-politici-militari da attuare in Italia, il prigioniero Aldo Moro ha cominciato a fornire le sue “illuminanti” risposte. Le informazioni che abbiamo così modo di recepire, una volta verificate verranno rese note al movimento rivoluzionario che saprà farne buon uso nel prosieguo del processo al regime che con l’iniziativa delle forze combattenti si è aperto in tutto il paese».
Queste parole su papà fanno un certo effetto. Si vede. E ancor di più quelle che seguono. Mamma nelle pagine successive parla del comunicato numero 5 datato 10 aprile che rivela come l’interrogatorio stia validamente chiarendo le linee antiproletarie, le trame sanguinarie e terroristiche,  le responsabilità dei «boss democristiani, i loro protettori internazionali, gli equilibri di potere». Poi però mamma si arrabbia per quello che scrivono i brigatisti nel comunicato numero 6. Non riesce a capacitarsi del perché abbiano voluto concludere l’interrogatorio al presidente.
«Ma che sta succedendo? Perché interrompono il processo? Non vogliono più sapere nulla? Cosa significa che  Moro non ha fatto altro che confermare delle verità e delle certezze che non da oggi sono nella coscienza di tutti i proletari? E poi perché,  dopo aver promesso di rendere pubblici gli interrogatori, adesso annunciano che saranno diffusi attraverso la stampa e i mezzi di divulgazione clandestini delle organizzazioni combattenti? Sono dei cialtroni».
«Ha ragione mamma!». Anche io sono indignata. «Ma come? Moro ha parlato, ha fatto rivelazioni che accusano la classe dirigente, ma le rivelazioni non vengono rese pubbliche solo perché già conosciute dal proletariato in quanto da lui sofferte. Se per cinque comunicati si fa un processo, si esegue un’inchiesta, si tengono verbali che in parte sono stati dati alla stampa, alla fine una organizzazione rivoluzionaria, se è rivoluzionaria, deve emettere una sentenza motivata. Ma voi non l’avete fatto.  Qualcuno vi ha detto di smettere, qualcuno vi ha detto che certe cose non dovevano essere rese pubbliche, qualcuno non voleva che il processo continuasse, qualcuno voleva che Moro chiudesse la bocca. Tra il comunicato numero 5 e il numero 6 entra in scena l’infiltrato con un ordine superiore e con il compito di far sparire tutto i documenti scritti e le registrazioni del processo. E l’infiltrato potrebbe essere Igor».
Papà è come se fosse in trance. «Ma quali infiltrati? Le decisioni venivano prese dalla direzione. E lì non c’era nessuno esterno». Io insisto: «È quello che sai tu. Però devi ammettere che su Moretti qualche ombra di mistero c’è. Comunque facciamo finta che Igor non sia un infiltrato e nemmeno Moretti. A mamma interessavano i manoscritti del presidente e le confessioni registrate!».
«Papà, mi segui?», gli chiedo. Non mi sono accorta che mentre stavo parlando mio padre è uscito dalla stanza. Lo trovo in veranda seduto con la faccia tra le mani. È distrutto. Ma io ignoro il suo stato d’animo.
«Mamma stava cercando Igor per arrivare al memoriale». 

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