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Capitolo 13

È martedì 22 agosto e stiamo a Campagnano.
La giornata, caldissima, sta per concludersi come spero questa attesa. La gravidanza dovrebbe finire oggi, ma non sembra debba succedere niente. Niente che lasci presagire a breve la nascita di Sole. Solo tanta “insofferenza”: stavo male a Roma, stavo male a Campagnano, non mi andava di dormire anche se sono stanca, volevo stare da sola, mi veniva da piangere.
Luca ha deciso di rientrare a Roma. Non c’è un vero motivo per tornare a casa. Per strada ci siamo fermati a comprare un po’ di pizza bianca. Faceva caldo, molto caldo. Io mi sono sdraiata per terra e Luca sul divano. Abbiamo parlato a lungo di Sole. Non sapevamo se era femmina o maschio. Il nome sarebbe andato bene in tutti e due i casi.
Quando sono andata in bagno ho visto una una macchia di sangue. Panico. Ho telefono immediatamento al medico che mi ha tranquillizzato spiegandomi che avevo perso il tappo mucoso. Ma sarebbe stato meglio fare una visita. Lui era fuori Roma, così mi ha consigliato al pronto soccorso del policlinico Casilino per farmi controllare. Il ginecologo di guardia si sarebbe metterà in contatto con lui. Il tempo di vestirci e siamo corsi via verso la Casilina.
Roma era deserta. Ma su via Magna Grecia a San Giovanni il chioschetto di grattachecche era assediato: “Quando ripassiamo ce ne prendiamo una”, ho detto a Luca. Che non però non ha risposto.Era preoccupato anche se non voleva darmelo a vedere.
Al pronto soccorso, prima di noi si era registra una signora che aveva “rotto le acque”. Ho lasciato i miei dati, la settimana di gravidanza e il motivo dell’urgenza. Ho dovuto salutare Luca: lui non è potuto salire.
Mi hanno sistemato in una sala travaglio dove c'era una ragazza sotto l’effetto dell’ossitocina e la signora che avevo incontrato prima al limite di una crisi di nervi.
In attesa della visita del ginecologo mi hanno attaccato alla macchina del monitoraggio. Sentivo il cuore di Sole: pulsava a 150 battiti al secondo, poi scendeva a 60, poi risaliva a 140. Di contrazioni invece niente.
A mezzanotte la ginecologa mi ha finalmente fatto la visita: la testa della mia bambina non era “impegnata”, era alta e il collo dell’utero non si era accorciato, quindi il travaglio era ancora lontano. Ha parla con il primario, mentre al telefono dell’ospedale era in linea con il mio medico, il dottor Nino Mannisi.
Sono dovuta rimanere sotto monitoraggio un’altra ora. Nel frattempo hanno fatto salire Luca e gli hanno detto che è necessario far nascere immediatamente Sole con un parto cesareo. Mi hanno assegnato la stanza, mi hanno fatto indossare il camice, mi hanno tagliato i peli del pube e mentre mi stavano attaccando ancora una volta alla macchina del monitoraggio ho dovuto rispondere alle domande dell’anamnesi.
Luca cercava di rassicurarmi, ma era preoccupato. Si vedeva. Era arrivato il momento di scendere in sala operatoria. Mi hanno fanno salire sulla barella. Mi hanno fanno sdraiare. L'ultima cosa che ricordo sono le lampade sopra di me.E poi i medici, gli attrezzisti, gli infermieri, l’ostetrica, il pediatra: tutti pronti in attesa che faccia effetto l’anestesia. La prima cosa che ho sentito appena ripresi i senti è la voce del professor Palermo che indica alla puericultrice il peso di Sole: 2 chili, cinque e quaranta.
Sole è una bambina. Una bellissima bambina. Sole è la nostra principessa.
23 agosto 1970
Il racconto della mia nascita è sulla prima pagina del quaderno rosso, quello più piccolo, quello dove ci sono le fotografie attaccate. È completamente dedicato a me, a papà, alle zie. E a Daniele. Non ci sono date ad eccezione di questa pagina. Sono pensieri per ciascuno di noi. Pensieri in ordine sparso, riflessioni sul nostro comportamento. E poi parole che avrebbe voluto dire e non ha detto. Richieste d’aiuto inascoltate. Ma anche annotazioni che si ritrovano sull’altro quaderno. A volte si tratta solo di frasi, come la rabbia per l’uccisione di un compagno o la compassione per una donna in difficoltà. In altri casi sono riprese intere pagine. Come quella dedicata alla prima e ultima volta che ha fatto l’amore con Daniele. Ma per lo più sono dialoghi interiori. Sensazioni che ha voluto fissare sulla carta. Più vado avanti e più mi arrabbio. Daniele non aveva nessun diritto a tenersi questi diari. Qui c’è la vita più intima di mia madre. Ci sono cose che riguardano me e papà. Se proprio voleva tenersi ciò che ha scritto per lui, poteva prendersi quelle pagine. Ma perché privarmi di quelle carezze che con quelle parole avrebbe potuto darmi quando ho avuto bisogno di lei? Ha ragione zia Moira. Daniele è un egoista, pensa solo a se stesso.
Su questo diario ci sono annotati i miei progressi, le frasi che le ho detto, le richieste che le ho fatto, i sensi di colpa che le ho provocato. Ma soprattutto c’è tutto l’amore che aveva per me. E il mio cuore si riempie d’orgoglio.
Sono tornata stanca dal lavoro, oggi. Non mi sono fermata un attimo. Sole non dormiva ancora. Mi sono infilata nel lettino con lei per farle un po’ di coccole. Mentre le cantavo la ninna nanna si è messa a piangere e ha detto che le manco. Che non ce la fa più a stare senza di me. Che non è giusto che io aiuto gli altri mentre quando lei mi chiede di dedicarle un po’ del mio tempo, ho sempre da fare. Ha solo quattro anni…
Su un’altra pagina mamma scrive: Ho sgridato Sole perché la sua cameretta era completamente sotto sopra. Si è girata verso di me e con lo sguardo pieno di odio mi ha detto: «Non ci sei mai a casa, è possibile che quelle poche volte che trovi un po’ di tempo per stare con me non trovi meglio da fare che rimproverarmi?».
Poi trovo una lettera indirizzata a me.
Amore mio, oggi sei partita con nonna Anna per andare in campagna. Sono passate solo poche ore e già mi manchi. So che lì sei felice, ti piace giocare con gli animali, ti piace arrampicarti sugli alberi e coltivare quel metroquadro di orto che nonna ti ha affidato. Ma mi manchi. Già penso a questa sera quando tornerò a casa e non ti vedrò correre per le scale per abbracciarmi e la tristezza mi assale. Ti voglio bene, amore mio. Sei la mia stella, quella che mi guida ogni giorno della mia vita. Mi rimproveri perché sono poco presente, ma ti assicuro che ogni momento delle mie giornate sono dedicate a te. Anche quando vado alle manifestazioni, anche quando scrivo lo faccio perché spero che il mondo in cui vivrai sia diverso. Voglio fare la mia parte perché il futuro sia per te quello che adesso possiamo solo sognare: un futuro d’amore, di pace, di gioia. Un futuro dove tutti abbiano gli stessi diritti e siano felici. Ti amo, Sole. Di un amore che non riesco a descrivere a parole, ma che mi riempie la testa, il cuore, lo stomaco.
Molti scritti di questo quadernetto rosso sono poi dedicati a mio padre. Ci sono le descrizioni delle mostre che lui aveva organizzato in galleria, i commenti su alcuni quadri che aveva portato a casa e perfino dei giudizi su dei giovani artisti che mio padre stava facendo lavorare. Ma quello che mi interessa di più sono le pagine nelle quali è evidente l’amore che provava per papà. Prendo dal freezer un barattolo di gelato. Voglio gustarmi queste parole come i cucchiai pieni di nocciola che mi metto in bocca.
È bello pensare che anche domani mattina tu sarai ancora qui con me. Che non sei un sogno che svanisce con la luce del mattino. Che domani sarà un altro giorno per stare insieme. Che abbiamo tutta la vita davanti per fare, creare, amarci. Ti amo Luca e sono felice perché Sole avrà un papà come te.
Abbiamo fatto l’amore. E ora tu dormi. Quanto sei bello Luca. Mi chiedo come può una persona bella come te farmi tanto del male. Perché me ne hai fatto tanto ed io non sono riuscita a reagire. Avevo solo voglia di piangere. Mi sono sentita stupida, umiliata. Poi mi hai abbracciata e mi hai chiesto scusa. Per sentirti a posto con la coscienza. Scusa. Può una parola cancellare di colpo tutto? No. Eppure io ti ho abbracciato. Mi sono fatta baciare illudendomi che non mi avresti più trattato così. Non mi avresti mai più fatto piangere. Ma non sarà così, lo so. Mi sono resa conto che ho sbagliato a credere che l’amore potesse bastare a far funzionare tutto, a darti la felicità. Non è così. Io ti ho amato più della mia vita eppure ora sono triste e mi manca qualcosa che non so neanche spiegare.
È vero che non ho nessun diritto di chiederti spiegazioni. Sei un uomo libero, amore mio. Libero di stare con chi vuoi, libero di dimenticarti di me. Da parte mia, però, devo imparare, a perdonare perché solo così sarò libera. Libera di amare anche chi non mi ama più.
Mi vergogno di aver frugato tra le tue cose, ma prima, mentre cercavo nelle tue tasche le sigarette ho trovato due biglietti del museo dell’Ara Pacis. Noi non siamo mai riusciti ad andarci insieme. Perché ci hai portato lei? In realtà non me ne frega niente di trovare una risposta, quello che ho capito in quel momento è che ti ho perso. Presuntuosamente ho creduto che niente e nessuno potesse separarci. Oggi sono tornata con i piedi per terra e immediatamente sono sprofondata. La vita mi è crollata addosso. E devo decidere se credere alle menzogne che mi racconterai domani e far finta di niente, oppure riprendermi la mia vita.
Arriverà un giorno in cui tutto questo mi sembrerà stupido. Ma ora ho troppa rabbia dentro e la mia mente elabora solo vendetta. So che è sbagliato, so che è lontano anni luce da quello che in cui credo. Ma le parole amore, rispetto, sembrano non appartenere più a me. Vorrei farti soffrire quanto soffro io. Mi immagino situazioni nelle quali riesco a vendicarmi. Forse tutto questo non succederà più, ma adesso mi serve per reagire.
Chi è lei? Che cosa ha più di me? Come è riuscita a farti dimenticare tutto quello che abbiamo costruito insieme? Ti rende felice? Ti crea meno problemi? Perché non rispondi? Perché fai finta di non sentire le mie domande? Io devo sapere. Devo conoscere il mio nemico per combatterlo. Possibile che non ti accorgi che la rabbia sta crescendo dentro di me? Una rabbia insana perchè non so chi è il mio nemico, una rabbia che mi costringe ad autodistruggermi.
Ho toccato il fondo. Fumo, digiuno, non dormo. E tu sembri così entusiasta…
Parla anche dei suoi viaggi con papà. Ma soprattutto di Ventotene. Di questo angolo di paradiso dove avrebbe voluto invecchiare.
Vorrei trasferirmi con Sole e Luca qui, a Ventotene. Non so spiegarmi perché quest’isola mi attragga tanto. Il mare, il sole, la natura, l’archeologia da sole non bastano a spiegare il pungente senso di mancanza che si impadroniscono di me non appena il traghetto mi porta via da qui. Ventotene è un sentimento sottile e profondo che si insinua dentro goccia a goccia, che inebria, che esercita una dipendenza e rende impossibile il distacco definitivo. Perché? Ci penso sempre e mi sono convinta che dipende dall’energia spirituale di coloro che l’hanno vissuta in epoche passate. Un’energia che allontana la fretta, che induce a un dolce oblio, ad un’indolenza metafisica. Un’energia che produce assuefazione e ti costringe a vivere secondo i ritmi naturali, o meglio secondo natura. Qui non esistono barriere sociali o culturali, perché ognuno ha bisogno dell’altro e del lavoro che svolge. Si realizza così un’osmosi e tutti hanno un ruolo utile e insostituibile.
Su di me, poi, ha un forte potere la solenne e malinconica suggestione che emana il carcere di Santo Stefano. Ogni volta che lo guardo o che ci vado non posso non pensare all’anarchico Gaetano Bresci che venne trovato impiccato nella sua cella il 22 maggio 1901 (un suicidio, anche questo, tutt’altro che certo), a Luigi Settembrini, e poi agli antifascisti che vi furono rinchiusi durante il ventennio perché oppositori del regime, come Sandro Pertini, Umberto Terracini, Giorgio Amendola, Sante Pollastri, Lelio Basso, Mauro Scoccimarro, Giuseppe Romita, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Luogo di pena, di dolore, di redenzione, mi sembra di sentire la disperazione di quegli ergastolani che Settembrini descrive nelle sue “ricordanze di vita”. Uomini chiusi in quella fortezza borbonica da quindici, da venti, da trent’anni; dimentichi del mondo, dimenticati da tutti. Che hanno presenti alla loro mente i lunghi anni della loro prigionia, come fossero un giorno solo. Il tempo non è scorso per essi. Ti parlano di cose vecchie ed obliate come se fossero recenti: credono che il mondo stia al punto che essi lasciarono. I vapori, le strade ferrate, i nuovi trovati delle arti sono ignoti a molti, che li credono burle che ad essi si vorrebbero fare: parlano come se parlasse un uomo morto da trent’anni. Mi sembra di vedere quelle facce aspramente scolpite, angolose, rugose, triste, cineree; quegli occhi incerti; quei sorrisi rari e sinistri; quelle vesti strane. Mi sembra di sentire quelle parole aspre, fendenti, strascicanti, avvolte, stridenti, di tutti i dialetti d’Italia, di cui scrive Settembrini.
In questo diario parla anche di Daniele. Mi irrigidisco, perché in fondo, anche se non voglio ammetterlo, sono gelosa. Racconta gli spettacoli che ha visto con lui, si complimenta con lui per quanto è bravo e bello in scena, lo incita ad andare avanti prevedendo per lui una carriera piena di successo. Ma anche pensieri che mi mettono in imbarazzo, perché in qualche modo confermano quello che sostiene zia Moira e cioè che Daniele faceva soffrire mamma.
Sei sparito senza dirmi una parola. Non hai avuto neanche il coraggio di dirmi addio. E io, invece che odiarti, continuo a vederti in ogni uomo che incontro. Mi si ferma il cuore e riprende a battere solo quando mi accorgo che mi sono sbagliata. In ogni luogo c’è qualcosa che mi ricorda di te e all’improvviso la tristezza prende il sopravvento e devo andarmene per non morire dentro.
Riesco perfino a giustificarti. Forse anche per te l’amore è come la rivoluzione, ne diveniamo coscienti a occasione perduta; in mezzo è solo una bolgia confusa, pericolosa e massificante.
Quando ti ho rivisto in mezzo a tutta quella gente credevo che fosse un’allucinazione.L'ennesima. Avevo paura di salutarti perché pensavo che ce l’avessi ancora con me. Per fortuna mi sono fatta coraggio. Stavo annegando e tu sei riuscito a farmi risalire. Ti questo ti sarò grata per il resto della mia vita.
Sai sempre tutto tu: quello che è giusto e quello che è sbagliato, quello che si deve fare e quello che è meglio evitare, quello che si può dire e quello che è meglio tenere per se. Però non riesci a capire che l’amore non è logica, non è razionalità. È istinto mio caro Daniele, è qualcosa che non puoi controllare.
Fai di tutto per essere sfuggente. Ogni volta c’è una scusa. Ogni volta ci sono silenzi se ti chiedo di parlare dei tuoi sentimenti, di quello che provi, di quello che vuoi. Ogni volta trovi il modo per farmi sentire un’estranea. Ma se è questo quello sono, perché Daniele non me lo dici chiaramente? Soffrirò, ma alla fine me ne farò una ragione e smetterò di interrogarmi su cosa c’è in me che non va.
Quando l’incantesimo si romperà, mio caro D., potrai capire. Quando l’incantesimo si romperà finalmente scoprirai grandi segreti che finora hai avuto sotto gli occhi senza vederli. Quando l’incantesimo si romperà scivolerai giù da quel lucido piedistallo sul quale è così difficile rilassarti e cadrai in un posto assurdo dove sarai libero di provare sentimenti di cui hai paura. Quando l’incantesimo si romperà io sarò lì con te.
Credo che oggi tu abbia veramente esagerato e sinceramente non so più se mi va ancora di vederti. Hai detto che ti senti usato da me. Che in te cerco quello che mio marito non mi dà. Me ne sono andata senza risponderti perché ogni parola sarebbe stata inutile. Non vuoi capirmi, perché farlo significherebbe ammettere di essere pronto a liberarti dalle convenzioni, dalle etichette, dalla sicurezza che pensi ti possa dare una relazione. E tu non sei pronto. Forse non lo sarai mai anche se ti atteggi a fare l’alternativo, il rivoluzionario.
Non riesco a spiegare cosa significa per me l’amore. Ecco perché le persone che amo non mi capiscono. È un sentimento che io chiamo amore perché non so se esiste un termine che possa sintetizzarlo. È uno stato d’animo che mi far star bene, mi rende felice. Se amo qualcuno mi sento libera dai conflitti interiori ed esterni, mi rende fiduciosa e ottimista che domani sarà migliore. E quante più persone amo, tanto più mi sento appagata. Ecco perché non ho il minimo problema ad ammettere che amo te Daniele, ma anche Luca, Moira. Vi amo, ho voglia di stare con voi, di essere abbracciata, di essere baciata, di essere parte della vostra vita. Di diverso c’è solo l’amore che voi date a me. E spesso quello che ricevo non è all’altezza delle aspettative. Questo mi far star male.
Poi ci sono pensieri dedicati a Moira: la mia zietta, la sua amica del cuore, la sua confidente, il suo grillo parlante. E commenti su come si è comportata. Tipo:
Certe volte vorrei strozzarti. Dopo esserti fatta supplicare per accompagnarmi a teatro a vedere D. non ha trovato di meglio da dirgli: «E tu vorresti fare l’attore? Prova la falegnameria, è meglio». Credi che in questo modo lo possa screditare ai miei occhi? A casa abbiamo litigato. Hai detto che domani farai le valige e sparirai dalla mia vita. Ma non ti credo. Ti sei è messa a dormire nel letto di Sole e non te ne andrai.
Moira, ti voglio bene.
Su un’altra pagina due episodi divertenti della loro storia d’amore e d’amicizia.
Moira voleva colorarsi i capelli di rosso. Forse ho sbagliato qualche dose dell’hennè e ora ha la testa blu. A Sole piace tanto, ma a lei no. Dice che l’ho rovinata, che dovrà rasarsi a zero. Invece per me è bellissima con quella cascata di capelli somiglia alla fata turchina. Hi, hi, hi!!!!
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Questa volta abbiamo davvero esagerato. Moira ha portato un po’ della sua “marja” e abbiamo pensato bene di prepararci una torta. Con una ricetta segreta che le aveva dato una sua paziente. Era buonissima e una fetta dopo l’altra ce la siamo finita insieme a una bottiglia di passito di Pantelleria. Luca ci ha trovate sdraiate per terra a ridere. Per fortuna che Sole dormiva da Carla…
Nel diario. Ci sono poi due pensieri che non riesco a capire.
Credo di essere innamorata di te. Ho bisogno di sapere che ci sei, ho bisogno di rassicurata che non mi lascerai mai. Sei l’altra parte della mela di Platone. E forse hai ragione tu. In fondo siamo tutti omosessuali.
Si riferisce a Moira, visto che prima stava parlando di lei? O di Daniele? Ma allora che cosa c’entra l’omosessualità? O forse parla di papà, dal momento che lo chiama in causa in quest’altra annotazione scritta di seguito.
Luca, so tutto. È inutile che tenti di farmi passare per pazza e visionaria. Sono preoccupata per te, e per tutti noi. Possibile che non ti rendi conto di quello che succederà? Possibile che ti abbiano fatto il lavaggio del cervello? Come puoi continuare a negare… Non credo che tu non ne sappia nulla, non credo che quella stronza, visto che siete tanto amici, non ti racconti come passa le sue giornate. E poi come ti sei permesso di darle la mia casa a Ventotene, senza dirmi nulla… Aniello l’ha vista. Tiratene fuori o lo farò io. A modo mio.
Chissà, forse alla fine riuscirò a capire. Intanto leggo di zia Carla.
Gli hanno trovato il fucile di papà nella macchina. Non ha voluto dirmi perché ce l’aveva lei. L’hanno tenuta due giorni in questura e alla fine l’hanno dovuta rilasciare perché mamma ha testimoniato che il fucile di caccia di papà, era un ricordo di famiglia che Carla doveva portare dalla casa di Roma alla casa di campagna. Per fortuna mamma aveva ancora il porto d’armi e alla fine Carla se l’è cavata semplicemente con una denuncia. Ma invece di essere contenta, continua a starsene zitta. Non ha chiesto neanche scusa per tutto questo casino. A mamma momenti le viene un colpo. Che cavolo stai combinando? Perché non permetti che io ti aiuti?
Carla è ancora arrabbiata. Dice che non vuole avere nulla a che fare con me perché ho accettato di aiutare Ciccio a fare il giornalista. Dice che è fascista. Ma non è vero. Come posso farglielo capire. A quello non gliene frega niente della politica, vuole solo scrivere..
Zia Carla è stata, ed è tutt’ora, una dura e pura. Lei ha sempre creduto nella dignità della politica e che Sparta deve combattere Atene... non entrarci in affari! Per zia non c’erano vie di mezzo, o eri rosso o eri nero. Per questo era contraria al compromesso e agli inciuci del Pci. Fa la sociologa ed è autrice di numerosi saggi e libri sul movimento negli anni Ottanta e Novanta. Sa tutto dei centri sociali e dei loro frequentatori, delle lotte dei no global, delle tute bianche, dei disobbedienti, dei no war e dei no tav. Ora sta studiando la crisi della sinistra e sta a pezzi. Non so quanto bene le faccia tornare indietro nel tempo e riassaporare quell’atmosfera pregna di ideali, di sogni che sono naufragati nello squallore della politica degli anni Novanta e Duemila.
L’ultima frase di questo quadernetto mi fa star male.
Mi sento soffocare. Mi sembra di non avere via d’uscita. La sensazione è quella che deve provare un carcerato chiuso nella prigione che lui stesso si è costruito. E non c’è nessuno disposto ad aiutarlo per evadere. Mi sento sola. Luca: l’ho definitivamente perso e il dolore si è impadronito della mia esistenza. Daniele: non posso chiedergli nulla e non mi darà mai nulla. Lo so. Carla: è sfuggente. Ma la colpa è la mia. Non gli ho mai fatto capire quanto le voglio bene. Moira è così. So che quello che dice è per il mio bene, ma non si rende conto che in tanti momenti sarebbe meglio non affondare il coltello nella ferita. Devo rinunciare ad essere felice? Soltanto Sole potrà liberarmi da questo terribile sortilegio.
Ma io non ho avuto il tempo, mamma. E gli occhi si riempiono di lacrime mentre un dolore lancinante colpisce il mio cuore.
«Posso chiedervi una cosa?». Raggiungo le zie in veranda portando loro i diari.
«Questi sono i quaderni di mamma. Leggeteli, parlatene, ma non davanti a me. Vi prego, ho bisogno di pensare ad altro».
«Certo, Sole mio», promette zia Moira, «adesso però vieni qui a farti fare un po’ di coccole. Come quando eri piccola».
Prendo una sedia e mi siedo in mezzo a loro. «Vi amo», dico a tutte e due. Zia Carla mi dà la mano e io me la porto alla bocca per baciarla. Mentre Moira mi abbraccia. Farei qualsiasi cosa pur di tornare indietro nel tempo.
«Lei non ti ha mai lasciata sola, neppure per un attimo. Sta qui con noi, anche ora. Parla attraverso di me, ti accarezza tramite la mano di zia Carla. Ti ama talmente tanto che neppure la morte ha potuto separarvi».
«Non è vero, non è vero, non è vero», rispondo a zia Moira urlando disperata mentre mi vado a chiudere in camera. Sbatto la porta e mi butto sul letto a soffocare i miei singhiozzi nel cuscino. Non so quanto tempo sono rimasta così. Un minuto o forse un’ora, ma quando alzo la testa sono serena, completamente tranquillizzata. C’è l’odore di mia madre in questa stanza. Sento il suo profumo anche sulle mie mani, sul cuscino, sui vestiti.
È stata lei a consolarmi. Lei starà veramente sempre al mio fianco. Ora lo so.

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