È
martedì 22 agosto e stiamo a Campagnano.
La
giornata, caldissima, sta per concludersi come spero questa attesa.
La gravidanza dovrebbe finire oggi, ma non sembra debba succedere
niente. Niente che lasci presagire a breve la nascita di Sole. Solo
tanta “insofferenza”: stavo male a Roma, stavo male a Campagnano,
non mi andava di dormire anche se sono stanca, volevo stare da sola,
mi veniva da piangere.
Luca
ha deciso di rientrare a Roma. Non c’è un vero motivo per tornare
a casa. Per strada ci siamo fermati a comprare un po’ di pizza
bianca. Faceva caldo, molto caldo. Io mi sono sdraiata per terra e
Luca sul divano. Abbiamo parlato a lungo di Sole. Non sapevamo se
era femmina o maschio. Il nome sarebbe andato bene in tutti e due i
casi.
Quando
sono andata in bagno ho visto una una macchia di sangue. Panico. Ho
telefono immediatamento al medico che mi ha tranquillizzato
spiegandomi che avevo perso il tappo mucoso. Ma sarebbe stato meglio
fare una visita. Lui era fuori Roma, così mi ha consigliato al
pronto soccorso del policlinico Casilino per farmi controllare. Il
ginecologo di guardia si sarebbe metterà in contatto con lui. Il
tempo di vestirci e siamo corsi via verso la Casilina.
Roma
era deserta. Ma su via Magna Grecia a San Giovanni il chioschetto di
grattachecche era assediato: “Quando ripassiamo ce ne prendiamo
una”, ho detto a Luca. Che non però non ha risposto.Era
preoccupato anche se non voleva darmelo a vedere.
Al
pronto soccorso, prima di noi si era registra una signora che aveva
“rotto le acque”. Ho lasciato i miei dati, la settimana di
gravidanza e il motivo dell’urgenza. Ho dovuto salutare Luca: lui
non è potuto salire.
Mi
hanno sistemato in una sala travaglio dove c'era una ragazza sotto
l’effetto dell’ossitocina e la signora che avevo incontrato prima
al limite di una crisi di nervi.
In
attesa della visita del ginecologo mi hanno attaccato alla macchina
del monitoraggio. Sentivo il cuore di Sole: pulsava a 150 battiti al
secondo, poi scendeva a 60, poi risaliva a 140. Di contrazioni invece
niente.
A
mezzanotte la ginecologa mi ha finalmente fatto la visita: la testa
della mia bambina non era “impegnata”, era alta e il collo
dell’utero non si era accorciato, quindi il travaglio era ancora
lontano. Ha parla con il primario, mentre al telefono dell’ospedale
era in linea con il mio medico, il dottor Nino Mannisi.
Sono
dovuta rimanere sotto monitoraggio un’altra ora. Nel frattempo
hanno fatto salire Luca e gli hanno detto che è necessario far
nascere immediatamente Sole con un parto cesareo. Mi hanno assegnato
la stanza, mi hanno fatto indossare il camice, mi hanno tagliato i
peli del pube e mentre mi stavano attaccando ancora una volta alla
macchina del monitoraggio ho dovuto rispondere alle domande
dell’anamnesi.
Luca
cercava di rassicurarmi, ma era preoccupato. Si vedeva. Era arrivato
il momento di scendere in sala operatoria. Mi hanno fanno salire
sulla barella. Mi hanno fanno sdraiare. L'ultima cosa che ricordo
sono le lampade sopra di me.E poi i medici, gli attrezzisti, gli
infermieri, l’ostetrica, il pediatra: tutti pronti in attesa che
faccia effetto l’anestesia. La prima cosa che ho sentito appena
ripresi i senti è la voce del professor Palermo che indica alla
puericultrice il peso di Sole: 2 chili, cinque e quaranta.
Sole
è una bambina. Una bellissima bambina. Sole è la nostra
principessa.
23
agosto 1970
Il
racconto della mia nascita è sulla prima pagina del quaderno rosso,
quello più piccolo, quello dove ci sono le fotografie attaccate. È
completamente dedicato a me, a papà, alle zie. E a Daniele. Non ci
sono date ad eccezione di questa pagina. Sono pensieri per ciascuno
di noi. Pensieri in ordine sparso, riflessioni sul nostro
comportamento. E poi parole che avrebbe voluto dire e non ha detto.
Richieste d’aiuto inascoltate. Ma anche annotazioni che si
ritrovano sull’altro quaderno. A volte si tratta solo di frasi,
come la rabbia per l’uccisione di un compagno o la compassione per
una donna in difficoltà. In altri casi sono riprese intere pagine.
Come quella dedicata alla prima e ultima volta che ha fatto l’amore
con Daniele. Ma per lo più sono dialoghi interiori. Sensazioni che
ha voluto fissare sulla carta. Più vado avanti e più mi arrabbio.
Daniele non aveva nessun diritto a tenersi questi diari. Qui c’è
la vita più intima di mia madre. Ci sono cose che riguardano me e
papà. Se proprio voleva tenersi ciò che ha scritto per lui, poteva
prendersi quelle pagine. Ma perché privarmi di quelle carezze che
con quelle parole avrebbe potuto darmi quando ho avuto bisogno di
lei? Ha ragione zia Moira. Daniele è un egoista, pensa solo a se
stesso.
Su
questo diario ci sono annotati i miei progressi, le frasi che le ho
detto, le richieste che le ho fatto, i sensi di colpa che le ho
provocato. Ma soprattutto c’è tutto l’amore che aveva per me. E
il mio cuore si riempie d’orgoglio.
Sono
tornata stanca dal lavoro, oggi. Non mi sono fermata un attimo. Sole
non dormiva ancora. Mi sono infilata nel lettino con lei per farle un
po’ di coccole. Mentre le cantavo la ninna nanna si è messa a
piangere e ha detto che le manco. Che non ce la fa più a stare senza
di me. Che non è giusto che io aiuto gli altri mentre quando lei mi
chiede di dedicarle un po’ del mio tempo, ho sempre da fare. Ha
solo quattro anni…
Su
un’altra pagina mamma scrive: Ho
sgridato Sole perché la sua cameretta era completamente sotto sopra.
Si è girata verso di me e con lo sguardo pieno di odio mi ha detto:
«Non ci sei mai a casa, è possibile che quelle poche volte che
trovi un po’ di tempo per stare con me non trovi meglio da fare
che rimproverarmi?».
Poi
trovo una lettera indirizzata a me.
Amore
mio, oggi sei partita con nonna Anna per andare in campagna. Sono
passate solo poche ore e già mi manchi. So che lì sei felice, ti
piace giocare con gli animali, ti piace arrampicarti sugli alberi e
coltivare quel metroquadro di orto che nonna ti ha affidato. Ma mi
manchi. Già penso a questa sera quando tornerò a casa e non ti
vedrò correre per le scale per abbracciarmi e la tristezza mi
assale. Ti voglio bene, amore mio. Sei la mia stella, quella che mi
guida ogni giorno della mia vita. Mi rimproveri perché sono poco
presente, ma ti assicuro che ogni momento delle mie giornate sono
dedicate a te. Anche quando vado alle manifestazioni, anche quando
scrivo lo faccio perché spero che il mondo in cui vivrai sia
diverso. Voglio fare la mia parte perché il futuro sia per te quello
che adesso possiamo solo sognare: un futuro d’amore, di pace, di
gioia. Un futuro dove tutti abbiano gli stessi diritti e siano
felici. Ti amo, Sole. Di un amore che non riesco a descrivere a
parole, ma che mi riempie la testa, il cuore, lo stomaco.
Molti
scritti di questo quadernetto rosso sono poi dedicati a mio padre. Ci
sono le descrizioni delle mostre che lui aveva organizzato in
galleria, i commenti su alcuni quadri che aveva portato a casa e
perfino dei giudizi su dei giovani artisti che mio padre stava
facendo lavorare. Ma quello che mi interessa di più sono le pagine
nelle quali è evidente l’amore che provava per papà. Prendo dal
freezer un barattolo di gelato. Voglio gustarmi queste parole come i
cucchiai pieni di nocciola che mi metto in bocca.
È
bello pensare che anche domani mattina tu sarai ancora qui con me.
Che non sei un sogno che svanisce con la luce del mattino. Che domani
sarà un altro giorno per stare insieme. Che abbiamo tutta la vita
davanti per fare, creare, amarci. Ti amo Luca e sono felice perché
Sole avrà un papà come te.
…
Abbiamo
fatto l’amore. E ora tu dormi. Quanto sei bello Luca. Mi chiedo
come può una persona bella come te farmi tanto del male. Perché me
ne hai fatto tanto ed io non sono riuscita a reagire. Avevo solo
voglia di piangere. Mi sono sentita stupida, umiliata. Poi mi hai
abbracciata e mi hai chiesto scusa. Per sentirti a posto con la
coscienza. Scusa. Può una parola cancellare di colpo tutto? No.
Eppure io ti ho abbracciato. Mi sono fatta baciare illudendomi che
non mi avresti più trattato così. Non mi avresti mai più fatto
piangere. Ma non sarà così, lo so. Mi sono resa conto che ho
sbagliato a credere che l’amore potesse bastare a far funzionare
tutto, a darti la felicità. Non è così. Io ti ho amato più della
mia vita eppure ora sono triste e mi manca qualcosa che non so
neanche spiegare.
È
vero che non ho nessun diritto di chiederti spiegazioni. Sei un uomo
libero, amore mio. Libero di stare con chi vuoi, libero di
dimenticarti di me. Da parte mia, però, devo imparare, a perdonare
perché solo così sarò libera. Libera di amare anche chi non mi ama
più.
…
Mi
vergogno di aver frugato tra le tue cose, ma prima, mentre cercavo
nelle tue tasche le sigarette ho trovato due biglietti del museo
dell’Ara Pacis. Noi non siamo mai riusciti ad andarci insieme.
Perché ci hai portato lei? In realtà non me ne frega niente di
trovare una risposta, quello che ho capito in quel momento è che ti
ho perso. Presuntuosamente ho creduto che niente e nessuno potesse
separarci. Oggi sono tornata con i piedi per terra e immediatamente
sono sprofondata. La vita mi è crollata addosso. E devo decidere se
credere alle menzogne che mi racconterai domani e far finta di
niente, oppure riprendermi la mia vita.
…
Arriverà
un giorno in cui tutto questo mi sembrerà stupido. Ma ora ho troppa
rabbia dentro e la mia mente elabora solo vendetta. So che è
sbagliato, so che è lontano anni luce da quello che in cui credo. Ma
le parole amore, rispetto, sembrano non appartenere più a me. Vorrei
farti soffrire quanto soffro io. Mi immagino situazioni nelle quali
riesco a vendicarmi. Forse tutto questo non succederà più, ma
adesso mi serve per reagire.
…
Chi
è lei? Che cosa ha più di me? Come è riuscita a farti dimenticare
tutto quello che abbiamo costruito insieme? Ti rende felice? Ti crea
meno problemi? Perché non rispondi? Perché fai finta di non sentire
le mie domande? Io devo sapere. Devo conoscere il mio nemico per
combatterlo. Possibile che non ti accorgi che la rabbia sta crescendo
dentro di me? Una rabbia insana perchè non so chi è il mio nemico,
una rabbia che mi costringe ad autodistruggermi.
…
Ho
toccato il fondo. Fumo, digiuno, non dormo. E tu sembri così
entusiasta…
Parla
anche dei suoi viaggi con papà. Ma soprattutto di Ventotene. Di
questo angolo di paradiso dove avrebbe voluto invecchiare.
Vorrei
trasferirmi con Sole e Luca qui, a Ventotene. Non so spiegarmi perché
quest’isola mi attragga tanto. Il mare, il sole, la natura,
l’archeologia da sole non bastano a spiegare il pungente senso di
mancanza che si impadroniscono di me non appena il traghetto mi porta
via da qui. Ventotene è un sentimento sottile e profondo che si
insinua dentro goccia a goccia, che inebria, che esercita una
dipendenza e rende impossibile il distacco definitivo. Perché? Ci
penso sempre e mi sono convinta che dipende dall’energia spirituale
di coloro che l’hanno vissuta in epoche passate. Un’energia che
allontana la fretta, che induce a un dolce oblio, ad un’indolenza
metafisica. Un’energia che produce assuefazione e ti costringe a
vivere secondo i ritmi naturali, o meglio secondo natura. Qui non
esistono barriere sociali o culturali, perché ognuno ha bisogno
dell’altro e del lavoro che svolge. Si realizza così un’osmosi e
tutti hanno un ruolo utile e insostituibile.
Su
di me, poi, ha un forte potere la solenne e malinconica suggestione
che emana il carcere di Santo Stefano. Ogni volta che lo guardo o che
ci vado non posso non pensare all’anarchico Gaetano Bresci che
venne trovato impiccato nella sua cella il 22 maggio 1901 (un
suicidio, anche questo, tutt’altro che certo), a Luigi Settembrini,
e poi agli antifascisti che vi furono rinchiusi durante il ventennio
perché oppositori del regime, come Sandro Pertini, Umberto
Terracini, Giorgio Amendola, Sante Pollastri, Lelio Basso, Mauro
Scoccimarro, Giuseppe Romita, Altiero Spinelli e Ernesto Rossi. Luogo
di pena, di dolore, di redenzione, mi sembra di sentire la
disperazione di quegli ergastolani che Settembrini descrive nelle sue
“ricordanze di vita”. Uomini chiusi in quella fortezza borbonica
da quindici, da venti, da trent’anni; dimentichi del mondo,
dimenticati da tutti. Che hanno presenti alla loro mente i lunghi
anni della loro prigionia, come fossero un giorno solo. Il tempo non
è scorso per essi. Ti parlano di cose vecchie ed obliate come se
fossero recenti: credono che il mondo stia al punto che essi
lasciarono. I vapori, le strade ferrate, i nuovi trovati delle arti
sono ignoti a molti, che li credono burle che ad essi si vorrebbero
fare: parlano come se parlasse un uomo morto da trent’anni. Mi
sembra di vedere quelle facce aspramente scolpite, angolose, rugose,
triste, cineree; quegli occhi incerti; quei sorrisi rari e sinistri;
quelle vesti strane. Mi sembra di sentire quelle parole aspre,
fendenti, strascicanti, avvolte, stridenti, di tutti i dialetti
d’Italia, di cui scrive Settembrini.
In
questo diario parla anche di Daniele. Mi irrigidisco, perché in
fondo, anche se non voglio ammetterlo, sono gelosa. Racconta gli
spettacoli che ha visto con lui, si complimenta con lui per quanto è
bravo e bello in scena, lo incita ad andare avanti prevedendo per lui
una carriera piena di successo. Ma anche pensieri che mi mettono in
imbarazzo, perché in qualche modo confermano quello che sostiene zia
Moira e cioè che Daniele faceva soffrire mamma.
Sei
sparito senza dirmi una parola. Non hai avuto neanche il coraggio di
dirmi addio. E io, invece che odiarti, continuo a vederti in ogni
uomo che incontro. Mi si ferma il cuore e riprende a battere solo
quando mi accorgo che mi sono sbagliata. In ogni luogo c’è
qualcosa che mi ricorda di te e all’improvviso la tristezza prende
il sopravvento e devo andarmene per non morire dentro.
…
Riesco
perfino a giustificarti. Forse anche per te l’amore è come la
rivoluzione, ne diveniamo coscienti a occasione perduta; in mezzo è
solo una bolgia confusa, pericolosa e massificante.
…
Quando
ti ho rivisto in mezzo a tutta quella gente credevo che fosse
un’allucinazione.L'ennesima. Avevo paura di salutarti perché
pensavo che ce l’avessi ancora con me. Per fortuna mi sono fatta
coraggio. Stavo annegando e tu sei riuscito a farmi risalire. Ti
questo ti sarò grata per il resto della mia vita.
…
Sai
sempre tutto tu: quello che è giusto e quello che è sbagliato,
quello che si deve fare e quello che è meglio evitare, quello che si
può dire e quello che è meglio tenere per se. Però non riesci a
capire che l’amore non è logica, non è razionalità. È istinto
mio caro Daniele, è qualcosa che non puoi controllare.
…
Fai
di tutto per essere sfuggente. Ogni volta c’è una scusa. Ogni
volta ci sono silenzi se ti chiedo di parlare dei tuoi sentimenti, di
quello che provi, di quello che vuoi. Ogni volta trovi il modo per
farmi sentire un’estranea. Ma se è questo quello sono, perché
Daniele non me lo dici chiaramente? Soffrirò, ma alla fine me ne
farò una ragione e smetterò di interrogarmi su cosa c’è in me
che non va.
…
Quando
l’incantesimo si romperà, mio caro D., potrai capire. Quando
l’incantesimo si romperà finalmente scoprirai grandi segreti che
finora hai avuto sotto gli occhi senza vederli. Quando l’incantesimo
si romperà scivolerai giù da quel lucido piedistallo sul quale è
così difficile rilassarti e cadrai in un posto assurdo dove sarai
libero di provare sentimenti di cui hai paura. Quando l’incantesimo
si romperà io sarò lì con te.
…
Credo
che oggi tu abbia veramente esagerato e sinceramente non so più se
mi va ancora di vederti. Hai detto che ti senti usato da me. Che in
te cerco quello che mio marito non mi dà. Me ne sono andata senza
risponderti perché ogni parola sarebbe stata inutile. Non vuoi
capirmi, perché farlo significherebbe ammettere di essere pronto a
liberarti dalle convenzioni, dalle etichette, dalla sicurezza che
pensi ti possa dare una relazione. E tu non sei pronto. Forse non lo
sarai mai anche se ti atteggi a fare l’alternativo, il
rivoluzionario.
…
Non
riesco a spiegare cosa significa per me l’amore. Ecco perché le
persone che amo non mi capiscono. È un sentimento che io chiamo
amore perché non so se esiste un termine che possa sintetizzarlo. È
uno stato d’animo che mi far star bene, mi rende felice. Se amo
qualcuno mi sento libera dai conflitti interiori ed esterni, mi
rende fiduciosa e ottimista che domani sarà migliore. E quante più
persone amo, tanto più mi sento appagata. Ecco perché non ho il
minimo problema ad ammettere che amo te Daniele, ma anche Luca,
Moira. Vi amo, ho voglia di stare con voi, di essere abbracciata, di
essere baciata, di essere parte della vostra vita. Di diverso c’è
solo l’amore che voi date a me. E spesso quello che ricevo non è
all’altezza delle aspettative. Questo mi far star male.
Poi
ci sono pensieri dedicati a Moira: la mia zietta, la sua amica del
cuore, la sua confidente, il suo grillo parlante. E commenti su come
si è comportata. Tipo:
Certe
volte vorrei strozzarti. Dopo esserti fatta supplicare per
accompagnarmi a teatro a vedere D. non ha trovato di meglio da
dirgli: «E tu vorresti fare l’attore? Prova la falegnameria, è
meglio». Credi che in questo modo lo possa screditare ai miei occhi?
A casa abbiamo litigato. Hai detto che domani farai le valige e
sparirai dalla mia vita. Ma non ti credo. Ti sei è messa a dormire
nel letto di Sole e non te ne andrai.
Moira,
ti voglio bene.
Su
un’altra pagina due episodi divertenti della loro storia d’amore
e d’amicizia.
Moira
voleva colorarsi i capelli di rosso. Forse ho sbagliato qualche dose
dell’hennè e ora ha la testa blu. A Sole piace tanto, ma a lei no.
Dice che l’ho rovinata, che dovrà rasarsi a zero. Invece per me è
bellissima con quella cascata di capelli somiglia alla fata turchina.
Hi, hi, hi!!!!
---
Questa
volta abbiamo davvero esagerato. Moira ha portato un po’ della sua
“marja” e abbiamo pensato bene di prepararci una torta. Con una
ricetta segreta che le aveva dato una sua paziente. Era buonissima e
una fetta dopo l’altra ce la siamo finita insieme a una bottiglia
di passito di Pantelleria. Luca ci ha trovate sdraiate per terra a
ridere. Per fortuna che Sole dormiva da Carla…
Nel
diario. Ci sono poi due pensieri che non riesco a capire.
Credo
di essere innamorata di te. Ho bisogno di sapere che ci sei, ho
bisogno di rassicurata che non mi lascerai mai. Sei l’altra parte
della mela di Platone. E forse hai ragione tu. In fondo siamo tutti
omosessuali.
Si
riferisce a Moira, visto che prima stava parlando di lei? O di
Daniele? Ma allora che cosa c’entra l’omosessualità? O forse
parla di papà, dal momento che lo chiama in causa in quest’altra
annotazione scritta di seguito.
Luca,
so tutto. È inutile che tenti di farmi passare per pazza e
visionaria. Sono preoccupata per te, e per tutti noi. Possibile che
non ti rendi conto di quello che succederà? Possibile che ti abbiano
fatto il lavaggio del cervello? Come puoi continuare a negare… Non
credo che tu non ne sappia nulla, non credo che quella stronza, visto
che siete tanto amici, non ti racconti come passa le sue giornate. E
poi come ti sei permesso di darle la mia casa a Ventotene, senza
dirmi nulla… Aniello l’ha vista. Tiratene fuori o lo farò io. A
modo mio.
Chissà,
forse alla fine riuscirò a capire. Intanto leggo di zia Carla.
Gli
hanno trovato il fucile di papà nella macchina. Non ha voluto dirmi
perché ce l’aveva lei. L’hanno tenuta due giorni in questura e
alla fine l’hanno dovuta rilasciare perché mamma ha testimoniato
che il fucile di caccia di papà, era un ricordo di famiglia che
Carla doveva portare dalla casa di Roma alla casa di campagna. Per
fortuna mamma aveva ancora il porto d’armi e alla fine Carla se l’è
cavata semplicemente con una denuncia. Ma invece di essere contenta,
continua a starsene zitta. Non ha chiesto neanche scusa per tutto
questo casino. A mamma momenti le viene un colpo. Che cavolo stai
combinando? Perché non permetti che io ti aiuti?
Carla
è ancora arrabbiata. Dice che non vuole avere nulla a che fare con
me perché ho accettato di aiutare Ciccio a fare il giornalista. Dice
che è fascista. Ma non è vero. Come posso farglielo capire. A
quello non gliene frega niente della politica, vuole solo scrivere..
Zia
Carla è stata, ed è tutt’ora, una dura e pura. Lei ha sempre
creduto nella dignità della politica e che Sparta deve combattere
Atene... non entrarci in affari! Per zia non c’erano vie di mezzo,
o eri rosso o eri nero. Per questo era contraria al compromesso e
agli inciuci del Pci. Fa la sociologa ed è autrice di numerosi saggi
e libri sul movimento negli anni Ottanta e Novanta. Sa tutto dei
centri sociali e dei loro frequentatori, delle lotte dei no global,
delle tute bianche, dei disobbedienti, dei no war e dei no tav. Ora
sta studiando la crisi della sinistra e sta a pezzi. Non so quanto
bene le faccia tornare indietro nel tempo e riassaporare
quell’atmosfera pregna di ideali, di sogni che sono naufragati
nello squallore della politica degli anni Novanta e Duemila.
L’ultima
frase di questo quadernetto mi fa star male.
Mi
sento soffocare. Mi sembra di non avere via d’uscita. La sensazione
è quella che deve provare un carcerato chiuso nella prigione che lui
stesso si è costruito. E non c’è nessuno disposto ad aiutarlo per
evadere. Mi sento sola. Luca: l’ho definitivamente perso e il
dolore si è impadronito della mia esistenza. Daniele: non posso
chiedergli nulla e non mi darà mai nulla. Lo so. Carla: è
sfuggente. Ma la colpa è la mia. Non gli ho mai fatto capire quanto
le voglio bene. Moira è così. So che quello che dice è per il mio
bene, ma non si rende conto che in tanti momenti sarebbe meglio non
affondare il coltello nella ferita. Devo rinunciare ad essere felice?
Soltanto Sole potrà liberarmi da questo terribile sortilegio.
Ma
io non ho avuto il tempo, mamma. E gli occhi si riempiono di lacrime
mentre un dolore lancinante colpisce il mio cuore.
«Posso
chiedervi una cosa?». Raggiungo le zie in veranda portando loro i
diari.
«Questi
sono i quaderni di mamma. Leggeteli, parlatene, ma non davanti a me.
Vi prego, ho bisogno di pensare ad altro».
«Certo,
Sole mio», promette zia Moira, «adesso però vieni qui a farti fare
un po’ di coccole. Come quando eri piccola».
Prendo
una sedia e mi siedo in mezzo a loro. «Vi amo», dico a tutte e due.
Zia Carla mi dà la mano e io me la porto alla bocca per baciarla.
Mentre Moira mi abbraccia. Farei qualsiasi cosa pur di tornare
indietro nel tempo.
«Lei
non ti ha mai lasciata sola, neppure per un attimo. Sta qui con noi,
anche ora. Parla attraverso di me, ti accarezza tramite la mano di
zia Carla. Ti ama talmente tanto che neppure la morte ha potuto
separarvi».
«Non
è vero, non è vero, non è vero», rispondo a zia Moira urlando
disperata mentre mi vado a chiudere in camera. Sbatto la porta e mi
butto sul letto a soffocare i miei singhiozzi nel cuscino. Non so
quanto tempo sono rimasta così. Un minuto o forse un’ora, ma
quando alzo la testa sono serena, completamente tranquillizzata. C’è
l’odore di mia madre in questa stanza. Sento il suo profumo anche
sulle mie mani, sul cuscino, sui vestiti.
È
stata lei a consolarmi. Lei starà veramente sempre al mio fianco.
Ora lo so.
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