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Capitolo 4

Bakunin si è preso la sua rivincita su Marx, ci siamo detti vedendo tutti quegli anarchici a Milano in via Preneste. Fa freddo e c’è molto traffico. È l’ultimo sabato prima di Natale. Ci sono tante bandiere nere con la A. Qualcuna rossa della Quarta Internazionale. A tenerle in mano soprattutto giovani, ma c’erano anche parecchi vecchi anarchici, con il cravattone nero, dietro alla moglie di Pinelli. La bara sta su un furgone. Ci sono qua e là dei fotografi appostati. La polizia ci ha bloccato a via Paravia, non voleva che il corteo funebre proseguisse fino al Musocco. Così al campo 76 del cimitero ci siamo andati dopo, al crepuscolo, giusto in tempo per vedere i becchini che calavano nella fossa, la numero 434, la cassa con Pinelli. Che stranamente aveva sopra una croce. Qualcuno prima aveva provveduto a coprirla con una bandiera, ma ora che la stavano mettendo sotto terra si è vista. Eravamo un centinaio e ci guardavano a distanza una ventina di guardie in borghese. Abbiamo alzato il pugno a salutarlo. Intanto arrivava altra gente. Un ragazzo con la barba corta ha detto: “Pinelli è stato assassinato. Addio Pino. Non dimenticheremo né te, né quelli che ti hanno ucciso”. Poi una voce roca ha attaccato Addio Lugano Bella e abbiamo iniziato a cantare. Ma a bassa voce, con il ritmo lento di una marcia funebre. E io sono scoppiata a piangere. Ho preso un sasso al cimitero, vicino alla fossa e l’ho stretto in mano fino a sentire dolore. Ma non è nulla in confronto a quello che sento nello stomaco.
L’hanno buttato dalla finestra. Pinelli è morto ammazzato. L’hanno ucciso dopo tre giorni di interrogatori. Le guardie l’hanno convinto ad andare in via Fatebenefratelli e poi lo hanno fatto fuori. Pino faceva il ferroviere ed è un anarchico, non ha nessuno che lo protegge e vogliono farlo passare per il responsabile della strage di piazza Fontana. Non è così. Sono in treno. Sto tornando da Luca. Oggi ho partecipato ai funerali di Pinelli ed ho provato tanta rabbia. Una rabbia che non sapevo di avere. Non so se la verità ufficiale coinciderà mai con la realtà, certo è che qualcuno dovrà pagare. E pagherà caro.
Tutto è iniziato il 12 dicembre 1969, alle ore 16.37 a Milano: un ordigno, composto da sette chili di tritolo, è esploso nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana. Il bilancio è stato di 16 morti e 88 feriti. A Roma qualche minuto dopo una bomba esplode in un corridoio sotterraneo della sede centrale della Banca Nazionale del Lavoro, tra via Veneto e via San Basilio: 13 impiegati sono rimasti feriti, uno in maniera grave. Il boato è stato fortissimo. Poi una nuova esplosione a distanza di mezz’ora. Un ordigno sulla terrazza dell’Altare della Patria, sul lato che si affaccia sui Fori Imperiali: nessuna vittima. Due minuti dopo un altro botto, un’altra bomba è esploso sempre sulla terrazza dell’Altare della Patria, dalla parte della scalinata dell’Ara Coeli: nessuna vittima. A Milano, quello stesso pomeriggio un impiegato della Banca Commerciale Italiana di piazza della Scala ha trovato una borsa nera e l'ha consegnata alla direzione. La borsa conteneva un’altra bomba che non è esplosa per un difetto di funzionamento del timer del congegno d’innesco. Ma gli artificieri hanno deciso di farla brillare distruggendo così eventuali indizi fondamentali. Devono trovare a tutti i costi un capro espiatorio: gli anarchici. Così vanno a bussare a casa di Pinelli. Non ci ha messo molto Calabresi a convincerlo a seguirlo in questura. Lui ci è andato perché non ha nulla da nascondere. Lo hanno interrogato per tre giorni. Poi è successo qualcosa. Il 15 dicembre Pinelli è precipitato dalla finestra dell’ufficio del commissario Calabresi. La stessa fine di Andrea Salsedo, il tipografo sindacalista anarchico amico di Bartolomeo Vanzetti, che “volò” da una finestra al quattordicesimo piano del Dipartimento di Giustizia di New York dopo essere stato fermato e trattenuto due mesi perché sospettato di aver stampato opuscoli sovversivi. Pinelli ha fatto la stessa fine. Il questore Marcello Guida, nel 1942 uomo di fiducia di Mussolini e direttore del confino politico di Ventotene, già 20 minuti dopo, ha dichiarato che Pinelli si è suicidato e che il suicidio è stata una ammissione di colpevolezza perché “l’alibi era crollato”. Con Carla abbiamo partecipato alla conferenza stampa organizzata dagli anarchici milanesi al Circolo Ponte della Ghisolfa il giorno dopo la morte di Pinelli e l’arresto di un altro anarchico, Pietro Valpreda. Cazzate. 20 dicembre 1969

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