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Capitolo 18



«Io non mi sono mai voluto intromettere. Ma sono felice che tu mi abbia chiamato. Tua madre per me è stata un’amica, ma soprattutto una maestra di vita». Quando ho chiamato Ciccio ero preoccupata. Non sapevo da che parte cominciare. Eppure appena ho letto il messaggio di Daniele sul cellulare, non ho esitato un attimo a chiamarlo. «Ciccio aspetta una tua telefonata. Chiamalo quando vuoi. Ecco il numero», c’era scritto e io sono sgattaiolata in camera per farlo. Mi sono chiusa dentro, perché non volevo che papà mi sentisse. Fuori iniziava a piovere.

Mentre aspettavo che la centralinista del giornale passasse la telefonata al dottor Francesco De Blase ero tentata di riattaccare. Poi però quando ha risposto, con quella voce tutt’ad un tratto familiare, non è stato difficile. Mi ha detto di essere felice di sentirmi, mi ha chiesto se stavo bene. A quel punto non è stato difficile domandargli cosa ne pensava dell’ipotesi di Daniele. «Appena saputo dell’incidente anche a me è venuto in mente che potesse essere stato provocato», mi ha confermato aggiungendo subito dopo «di aver pensato pure che non fossero affari miei. Non mi è sembrato che tuo padre fosse particolarmente interessato ad andare avanti. E le mie congetture, i miei dubbi, li ho tenuti per me».

«Ma tu sei un giornalista, come lo era lei», ho insistito io, «e se mia madre avesse avuto dei dubbi su una notizia sarebbe andata oltre. Avrebbe indagato, avrebbe chiesto in giro, avrebbe cercato riscontri alle sue ipotesi».

«L’ho fatto», risponde lui tranquillamente. «Ma è un’inchiesta privata e lo resterà finché non avrò le prove per inchiodare i responsabili. Se qualcuno l’ha uccisa dovrà pagare. Per lui non dovranno esserci processi assolutori. Ci vorranno altri vent’anni per dimostrarlo? Non importa. Lei non sarà un altro caso di “nessun colpevole”».

«Quindi ritieni che sia stata ammazzata?», gli ho chiesto con un nodo alla gola.

«Non voglio condizionarti, Sole. L’unica cosa che posso fare è raccontarti di lei, del suo lavoro e della sua ossessionata ricerca della verità».

«Quale ricerca? Quale verità?».

Ciccio ha avuto un attimo di esitazione. Poi mi ha liquidata chiedendo il mio indirizzo di posta elettronica. «Sto finendo un articolo», si è giustificato, «possiamo continuare la conversazione via mail. Ti scrivo appena posso». Non potuto far altro che accettare: «Va bene, aspetterò».

Mi sono buttata sul letto cercando di farmi venire in mente i ricordi che avevo di lui. Ciccio era più giovane di mia madre e credo si siano conosciuti alla Sapienza. Lei doveva fare un servizio sugli studenti di destra e lui frequentava la facoltà di Giurisprudenza. Voleva capire. L’ha scritto pure sul diario. Voleva capire cosa spinge dei ragazzi, dei giovani che dicono di voler cambiare il sistema, a sposare l’ideologia di un dittatore. Lei considerava i fascisti «gli ultimi degli ultimi, i più odiati, i più detestati, i più infami, i più ridicoli, i più denigrati» e come tali la interessavano. «Perché si sentono attratti dalle nefandezze e dalla violenza del fascismo?», si chiede nel diario. Voleva guardarli negli occhi quei ragazzi e sfidarli sul piano dialettico, culturale, piuttosto che con le armi che in quel periodo si usavano, quelle della violenza e dell’odio.

Era fatta così. Ciccio voleva fare il giornalista e mamma fece in modo di farlo lavorare come suo collaboratore a patto che lui l’aiutasse per le ricerche che poi dava al Comitato di Controinformazione. In pratica dovevano cercare notizie e documenti per “smascherare” l’informazione istituzionale che indirizzava l’opinione pubblica. Questo Comitato nacque dall’iniziativa di alcuni militanti dell’Associazione dei Giuristi Democratici di Roma che iniziarono a seguire gli sviluppi della situazione politico-sociale italiana dopo la morte del giovane socialista Paolo Rossi nel corso di scontri tra studenti e polizia all’Università di Roma il 27 aprile 1966. Ad essi si aggiunsero diversi giornalisti di sinistra e alcuni militanti del «Canzoniere dell’Armadio», un gruppo musicale romano nato nei primi anni Sessanta che aveva svolto un intenso lavoro di animazione culturale. Mamma si avvicinò al comitato dopo la morte di Pinelli e come tanti altri compagni raccoglieva notizie, schedava giornali, riviste, fascicoli sui principali esponenti neofascisti. E Ciccio fu come la manna dal cielo. Ma poi ci si affezionò e divennero amici. Me lo ricordo qui a Ventotene durante l’estate, o a casa che giocava con me. Anche con zia Moira aveva un buon rapporto. Molto meno con zia Carla che lo vedeva sempre e comunque come un “fascista” anche se fascista non era. Tanto è vero che si è presentato alle ultime amministrative nelle liste della Sinistra l’Arcobaleno, anche se non è stato eletto. Ciccio è rimasto in contatto con noi anche dopo la morte di mamma. Con gli anni ovviamente ci siamo persi un po’ di vista, ma non ha mai dimenticato di farmi gli auguri per il mio compleanno o di spedirmi un regalo a Natale.



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